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Il Canada vieta la terapia che ‘converte’ l’orientamento sessuale e/o di genere. Due riflessioni

Mentre la Commissione Europea discuteva se fare gli auguri di buon natale o di buone feste a tutti i suoi concittadini, il governo canadese approvava ad un’unanimità una legge che vieterà dal prossimo 7 gennaio la cosiddetta conversion therapy, una terapia di conversione anche conosciuta come terapia riparativa, reintegrativa, o di avversione. Fanno parte della conversion therapy qualunque tipo di approccio terapeutico (o meno) di tipo psicologico (individuale o di gruppo), comportamentale, o farmacologico finalizzato al cambiamento dell’orientamento sessuale, o dell’identità, o dell’espressione di genere di una persona. In sintesi, dal prossimo gennaio non sarà più possibile in Canada (anche solo) provare a convertire una persona ad un orientamento sessuale e/o di genere diverso da quello in cui la persona stessa si riconosce. I trasgressori verranno puniti fino a cinque anni di carcere.

Due riflessioni. La prima riguarda l’unanimità dell’approvazione della legge da parte del governo canadese. La legge è stata votata da tutti i membri del governo, dal polo estremo conservatore a quello liberale. Un voto unanime che ha buttato giù per qualche minuto tutti i muri alzati da ideali politici che è normale ci siano in un governo democratico. Un evento raro nelle democrazie di tutto il mondo. Ma come si può giungere ad un’unanimità di voto in un contesto culturale cosi diversificato come quello canadese? Sicuramente non per via di un momento idilliaco di priorità incondizionata al valore della vita e della libertà dell’essere di tutti. Sarebbe stato ideale, ma è difficile pensare che sia accaduto qualcosa del genere.

E’ più probabile invece che l’unanimità sia stata ottenuta per via della responsabilità che ognuno di quei membri del governo sente nei confronti del proprio elettorato. Un voto contrario ad una proposta di legge del genere sarebbe potuto bastare (in Canada!) a segnare la fine di una lunga carriera politica. Quindi, un’unanimità mossa probabilmente da un grande consenso popolare.

Questo non significa che nella popolazione canadese non ci siano persone che pensano alla diversità come un male al quale dover rimediare, anzi, la pratica stessa della conversion therapy, alla quale si è posto rimedio con questa legge, conferma esattamente il contrario; vuol dire però che quelle persone sono in realtà una minoranza che hanno pochissimo peso dal punto di vista elettorale. Quindi, questa approvazione unanime della legge sull’abolizione della conversion therapy suggerisce che alcune decisioni politiche importanti vengono prese per via della presenza massiva di un filo di pensiero ed elemento culturale che è ben integrato nella vita quotidiana dell’elettorato.

La seconda riflessione va un po’ di più sul personale. Immagina, caro lettore eterosessuale, che il tuo essere, la tua natura da eterosessuale, venga ad un certo punto percepita da altri come qualcosa da cambiare; qualcosa da dover cambiare per avere una vita privata e professionale di successo, ed accogliere la stima dalla maggior parte delle persone che ti stanno intorno. Se questo fosse il caso, allora sarei certo che tu, caro lettore eterosessuale, avresti quanto meno qualcosa da ridire, o che cominceresti addirittura a ribellarti in qualche modo all’idea che qualcuno possa cercare di cambiarti. Se il solo pensiero che qualcuno voglia cambiarti ti crea quanto meno una sensazione di disagio, allora forse è il caso di cominciare ad esprimere questo pensiero un po’ più spesso quando si discute tra amici di diritti e libertà di tutti. Così facendo, quelle minoranze che provocano il disagio cominceranno a rimpicciolirsi così tanto da non avere più nessun peso nella decisione politica di qualunque (dico qualunque) governo.

E quanto ci costerebbe tutto questo? Poco o niente, o tutto, dipende da chi siamo, e soprattutto da quanto consapevoli siamo di ciò che veramente siamo.