Diritti

Patrick Zaki libero, Pippo Civati: “Un sollievo dopo due anni crudeli. La mia campagna? Non so se ha influito, ma è bello crederci”

Il fondatore di Possibile è il politico che più di tutti ha insistito sulla vicenda del giovane studente egiziano, con un tweet al giorno, iniziative pubbliche e un libro. Ora si schermisce: "Tutto ciò che rivendico sono la gioia e il sollievo. Quei 45 giorni tra un rinvio e l'altro erano diventati l'unità di misura dell'agonia". Ma attacca il governo italiano che "non ha avuto né l'intenzione, né la possibilità di tenere un atteggiamento più netto", nonostante le "accuse ridicole" allo studente di Bologna

“È stato commovente. Anzi, la parola giusta è liberatorio. Speriamo che arrivi presto l’assoluzione, che possa tornare a studiare e fare quello che gli piace. È già stato crudele far passare due anni di vita in carcere a un ragazzo così giovane”. Pippo Civati non si è mai scordato di Patrick Zaki. Il fondatore di Possibile – ex giamburrasca del Pd, da cui è uscito nel 2015 – è il politico che più di tutti ha insistito sulla vicenda del giovane studente egiziano dell’Università di Bologna, arrestato a febbraio 2020 e scarcerato martedì dopo 22 mesi di detenzione. Dal 22 dicembre dell’anno scorso Civati twitta ogni giorno lo stesso titolo del Corriere: “Zaki alla madre: «Non ce la faccio più»”. Accompagnato dallo stesso commento: “Ve lo ripeteremo ogni giorno. Maledetti”. Ha promosso iniziative pubbliche, ha pubblicato un libro su Patrick (“Voglio solo tornare a studiare”, di Marco Vassalotti) con la propria casa editrice, People. Ora che tutti festeggiano, però, lui si schermisce: “Non ho nessun merito particolare, tutto ciò che rivendico sono la gioia e il sollievo“, dice a ilfattoquotidiano.it. “Anzi, vorrei soprattutto ringraziare Amnesty International che ha fatto un lavoro straordinario sull’Egitto, sia rispetto a questo caso che a quello di Giulio Regeni”.

Come la gran parte di chi segue costantemente il calvario di Patrick, nemmeno Civati si aspettava la liberazione decisa dal tribunale di Mansura. “Ero disperato, letteralmente. Poteva andare ancora storta, come già erano andati storti tutti gli altri appuntamenti “giudiziari”, tra molte virgolette. Abbiamo già visto troppe volte questi continui rinvii, questi 45 giorni (il termine di rinnovo della custodia cautelare, ndr) che erano diventati l’unità di misura dell’agonia. L’ipotesi della scarcerazione circolava, ma sarebbe potuta anche finire con una condanna, con un altro rinvio, con una modifica del capo d’imputazione. Tutti stratagemmi e trucchi che il regime egiziano ha usato in questi anni”. Questa volta no, però. “È un grande sollievo, soprattutto per le sue condizioni fisiche e psichiche, compromesse da una detenzione lunga e immotivata. Restano da capire i prossimi passaggi e quale sarà il ruolo, se ce ne sarà uno, della nostra diplomazia e del nostro governo“.

Già, il governo. Dal giorno dell’arresto ne sono cambiati due, ma una vera pressione sul governo del Cairo non è mai arrivata. “Prima ancora del disinteresse e dell’indifferenza, che ci sono stati, il termine che descrive l’atteggiamento delle nostre istituzioni è impotenza“, dice Civati. “L’Italia non ha avuto né l’intenzione, né la possibilità di tenere un atteggiamento più netto. E ciò nonostante le accuse a Patrick fossero ridicole: ricordiamo che questo ragazzo è rimasto due anni in carcere per un post su Facebook. Anche se alla fine sarà assolto e liberato, come ci auguriamo tutti, ha già subito una pena infinita e ingiusta. Su questo i governi italiani avrebbero potuto dire una parola in più”. Cos’ha fatto la differenza, allora? La mobilitazione della società civile, l’intervento delle ong, un sussulto di indipendenza del potere giudiziario in uno Stato autoritario? “Sono tutti elementi in gioco. Non potremo mai sapere se l’impegno di alcuni di noi, di tante associazioni, delle università, di una rete sempre più vasta di persone sia stato decisivo. In ogni caso, nel dubbio, è sempre meglio crederci. Oggi è una lezione anche a tutti quelli che dicono che le campagne di opinione non servono a niente. Non so se è servito, ma era peggio non farlo“.