Cronaca

Bettini lascia il cda della Festa del Cinema e si smarca da Franceschini-Zingaretti-Gualtieri: “Non chiamatemi in causa su nomine cultura”

Alla base della decisione c'è una riunione, tenutasi venerdì 26, e in cui i tre colleghi di partito - insieme ad Albino Ruberti, capo di gabinetto di Gualtieri - si sono incontrati per parlare del rinnovo dei vertici di enti e fondazioni culturali. Un confronto in cui, sui nomi da valutare, "sono emerse mie presunte indicazioni e volontà" con un "particolare riferimento alla Festa del cinema", scrive Bettini, respingendo l'intenzione

Un vento di burrasca s’è alzato nel Partito democratico romano. Goffredo Bettini ha deciso di lasciare il consiglio d’amministrazione della Festa del Cinema di Roma e di smarcarsi dal trio di colleghi che si sta confrontando sulle nomine di enti e fondazioni culturali: il ministro della Cultura, Dario Franceschini, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. In una lettera pubblicata su Facebook, in risposta a un articolo apparso su Il Foglio, Bettini rilancia il contenuto di una mail inviata ai tre e in cui rende noto che chiederà “alla presidente dell’Istituto Luce, Chiara Sbarigia, di sollevarmi immediatamente dall’incarico di rappresentare, nel consiglio di amministrazione di Cinema di Roma, l’istituto che ella preside”. Bettini è, e resterà, consigliere nel Cda di Istituto Luce ma rinuncerà al ruolo di rappresentante dello stesso nell’organizzazione della Festa del Cinema di Roma.

Alla base della decisione c’è una riunione, tenutasi venerdì 26, e in cui i tre colleghi di partito – insieme ad Albino Ruberti, capo di gabinetto di Gualtieri, già braccio destro di Zingaretti e con lunga militanza nelle istituzioni culturali capitoline – si sono incontrati per parlare del rinnovo dei vertici di enti e fondazioni culturali. Un confronto in cui, sui nomi da valutare, “sono emerse mie presunte indicazioni e volontà” con un “particolare riferimento alla Festa del cinema”, scrive Bettini, respingendo l’intenzione. “Qualche parola che in passato ho espresso sull’argomento – aggiunge – mi è stata richiesta” e se è stata detta “ha rappresentato un mio atto di generosità volto a dare un contributo che non pretende minimamente di condizionare scelte la cui responsabilità è in primo luogo del sindaco Roberto Gualtieri”.

Già deus ex machina della sindacatura di Francesco Rutelli, per cui fu prima assessore e poi presidente dell’Auditorium, Bettini è considerato un uomo chiave del Partito democratico romano, nonché molto vicino a Zingaretti con il quale, quando il governatore del Lazio era alla guida del Pd, ha condiviso gioie e dolori del governo Conte 2: esecutivo in cui, tra l’altro, Gualtieri era titolare dell’Economia e Franceschini, come ora, della Cultura. Mediatore, nei mesi in cui la scelta del Pd sul candidato sindaco vedeva in campo due alternative, Zingaretti e Gualtieri, Bettini ha sempre pubblicamente sostenuto di essere estraneo alle vicende romane.

Lo ha ribadito anche nel post di oggi, 4 dicembre, confermando però anche che: “Mi sono speso in modo del tutto disinteressato per dare a Roma un sindaco degno e capace che sta facendo molto bene e che gode della mia stima più assoluta. E che ho ripetutamente sollecitato, si può chiedere a lui, di marcare nei confronti di tutti la sua autorevolezza e autonomia”. L’esponente dem, infine, prende le distanze dall’idea “che da vent’anni” sia lui a decidere sugli assetti della cultura a Roma: “È semplicemente falsa”, scrive. “Basta vedere i nomi. Tutte le più grandi responsabilità sono state attribuite da Alemanno e dalla Raggi a persone che neppure conosco. Anzi – sottolinea – negli ultimi quindici anni sono stato vittima io stesso del cambio della maggioranza in Campidoglio, tant’è che pure avendo una fiducia unanime dai miei consigli d’amministrazione, mi dimisi da presidente dall’Auditorium e dalla Festa del cinema”. Quindici anni dopo: altro giro, altre dimissioni. Stavolta però assomigliano a un addio: “Vi prego – conclude Bettini rivolgendosi al trio di colleghi di partito – anche nelle discussioni istituzionali future di non chiamarmi in causa, in nessun modo e per alcun possibile risvolto delle vicende”.