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Giampiero Galeazzi, il tennis, il canottaggio e i blitz negli spogliatoi: quei momenti di sport trasformati in romanzo popolare

L'oro olimpico degli Abbagnale a Seul, le telecronache cult del tennis, i microfoni piantati sotto il naso della Roma campione d'Italia e Maradona trasformato in intervistatore fino al momento in cui la Rai lo trasformò in un inviato di politica per seguire lo storico incontro tra Gorbaciov e Reagan a Reykjavík

L’inquadratura cattura la scena da lontano. E racconta solo una parte di verità. Al centro dello schermo compare una piccola imbarcazione. Sembra volare sull’acqua quasi sospinta da un soffio magico. Sembra quasi infischiarsene della resistenza opposta dal liquido. Perché le immagini tengono fuori la parte più importante. Quella fatta di dolore, di muscoli tesi allo spasmo, di polmoni che bruciano. È un’assenza compensata dalla voce che esce dagli altoparlanti. Ha un tono roco, un ritmo sincopato. “È un finale incredibile della Germania dell’Est”, dice. “Ci sono ancora cinquanta metri, con la Germania dell’Est che sta rinvenendo fortissimo”, racconta. “Reagisce comunque Giuseppe, che regge magnificamente. Rinviene la Germania, ma la prua è italiana! È la prima a vincere!”, urla. È un momento unico che scrive due storie, quella dello sport azzurro e quella delle telecronache. I fratelli Giuseppe e Carmine Abbagnale vincono l’oro nel “due con” alle Olimpiadi di Seul del 1988.

È un pomeriggio che entra nella leggenda. Grazie anche a quella telecronaca. Perché la voce di Giampiero Galeazzi diventa parte essenziale di quella narrazione, ne amplifica la portata, la trasforma in romanzo popolare. Sono parole semplici che ricordano quel “Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!” urlato da Nando Martellini sotto il cielo di Madrid qualche anno prima. È in quel pomeriggio che Galeazzi conquista un pezzetto di immortalità. “È stata la mia telecronaca da manuale – racconterà qualche anno più tardi – In quei casi anch’io sto a rema’, arrivo col fiatone. Gli ultimi 500 metri me li faccio in piedi, non guardo più il monitor, guardo solo er bacino“. Ma d’altra parte il legame di Galeazzi con il canottaggio parte da lontano. Anzi, da vicino. Nel 1932 il padre aveva vinto gli europei nel “due senza”. E per Giampiero diventa qualcosa in più di una semplice passione. Il circolo Canottieri Roma come seconda casa. E come laboratorio di vita. “So’ cresciuto a remi e racchette, mio padre era un allenatore di canottaggio, vedevo giocare a tennis Nicola Pietrangeli, ho visto passare di qua tutto il generone romano – racconta anni dopo a La Stampa – Professionisti, commercianti, nullafacenti, ricchi veri e ricchi immaginari”.

Il ragazzo di autodefinisce fiumarolo. E inizia a remare. I primi successi arrivano quasi subito. Nel 1967 arriva anche un titolo italiano. Nel singolo. E in coppia, con Giuliano Spingardi. Galeazzi partecipa addirittura alle selezioni per le Olimpiadi. Ma si ferma prima del traguardo. Non è un rimpianto. Perché i Giochi a Cinque Cerchi li vivrà comunque. Ma da inviato. L’incontro che gli cambia la vita arriva nel 1970. Galeazzi si presenta a Radio Rai per giocare a tennis con Renato Venturini, che lo presenta ai colleghi. Gilberto Evangelisti fissa quel personaggio così massiccio. Poi esclama: “A Renà, ma chi è ‘sto Bisteccone?”. È un soprannome che gli rimane appiccicato addosso per il resto della sua vita. Qualche tempo dopo entra a Radio Rai. Inizia dal basso, senza grandi sussulti. “Lavoravo dalle 8 del mattino alle 8 di sera, portavo il cappuccino a Ciotti, leggevo i risultati della C la domenica – disse alla Gazzetta – Insomma, feci la gavetta, al fianco di maestri come Guglielmo Moretti, il mio santo protettore, Enrico Ameri, lo stesso Ciotti, Rino Icardi, Claudio Ferretti”. Giampiero osserva e impara.

Ruba con lo sguardo, cresce professionalmente, affila il proprio stile. Fino a quando non viene spedito alle Olimpiadi di Monaco 1972. E guarda negli occhi la fortuna. Il collega Mirko Petternella sta seguendo la scherma. E deve trattenersi. Così non riesce ad arrivare in tempo per il canottaggio. Poco male, tocca a Galeazzi. La sua prima frase non passa esattamente alla storia. Giampiero dice: “Qui c’è molto vento, le bandiere sembrano di legno”. Poi si ferma e pensa: “Che cazzata che ho detto”. Invece gli fanno cenno di andare avanti. Il ghiaccio è rotto. Ora l’Italia impara a conoscere la sua voce. La sua faccia entrerà nei salotti dello Stivale qualche anno più tardi. Il nuovo direttore del Tg1, Emilio Rossi, lo porta in video su consiglio di Tito Stagno. Molti dei suoi colleghi della radio ci vanno giù pesante. Ameri, invece, gli dice: “Hai fatto bene: qui sei il 35°, al Tg1 potrai essere il numero uno”. E ha ragione.

Le sue telecronache diventano dei piccoli cult. Anche per qualche svarione. Un giorno, mentre commenta il tennis, dice che Ivan Lendl ha “lanciato una bomba al Nepal”. Qualche tempo dopo parla di “Roulotte russa”. Poco male. I suoi servizi continuano a entrare nella storia. Nel 1983 il suo impermeabile compare accanto a Liedholm nel giorno dello scudetto della Roma. Poi Galeazzi scende nello spogliatoio. Parla con Di Bartolomei. Parla con Pruzzo. Parla con Falcão. Con la telecamera che cattura i loro occhi. E che racconta le loro anime. È un miracolo che si ripete il 10 maggio 1987. Stavolta al San Paolo. Il video mostra un Galeazzi zuppo nello spogliatoio del Napoli campione d’Italia. Il giornalista si avvicina a Maradona. Lo intervista. E poi gli lascia il microfono. “Mi feci chiudere dal guardiano dentro gli spogliatoi – racconterà – c’erano 250 televisioni, me ritrovai solo con tutta la squadra in mutande. Il colpo di genio fu far fare a Maradona le interviste ai compagni. Lì capii che era un uomo superiore”.

Fra l’argentino e Bisteccone si crea una complicità fuori dal comune. “Andavamo nei locali come lupi mannari, io, lui e Carnevale – ha detto a Giancarlo Dotto – Diego parcheggiava il Testanera addosso al muro come fosse un motorino. Le più brutte donne di Napoli erano le sue. Gli piacevano quelle alla Botero. A me invece piacciono le americane Wasp, tipo Nicole Kidman”. L’America entra davvero nella sua vita nel 1986. La Juventus è in Islanda. Deve giocare in Coppa dei Campioni. Contro il Valur. Ma la Rai non vuole sentire storie. Visto che è lì Galeazzi deve raccontare anche lo storico incontro fra Gorbaciov e Reagan a Reykjavík. Giampiero risponde “obbedisco”. E firma un servizio nel suo stile. Nel 2000, quando la sua Lazio vince lo Scudetto, Galeazzi sta commentando la finale di tennis al Foro Italico. Ma il richiamo è troppo forte. Giampiero molla tutto e si precipita fuori dall’Olimpico. Le immagini del tennis scivolano via senza commento. Poco importa. C’è un altro pezzo di storia da documentare:”Mi precipitai di corsa allo stadio con un microfono in pugno. Il primo che acchiappai fu un frate”. Un fuoriclasse. Che da oggi ci mancherà tantissimo.