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Stati Uniti, in Oklahoma un’esecuzione si trasforma in supplizio: il condannato muore dopo atroci sofferenze

La vittima è John Grant, condannato alla pena capitale per l'omicidio di un addetto della prigione. Dopo la prima iniezione, è stato colto di convulsioni e vomito impiegando venti minuti per andarsene. Si tratta della prima procedura di questo tipo nello Stato dal 2015, quando la pratica era stata sospesa per la sofferenza manifestata da altri carcerati. A far discutere è il siero utilizzato, sospettato di causare un terribile dolore

Doveva andarsene velocemente e senza sofferenze e invece ha subito un supplizio di venti minuti prima di morire. È successo in Oklahoma, nel sud degli Stati Uniti, dove si è svolta la prima esecuzione dopo la moratoria del 2015 che aveva portato alla sospensione dell’uccisione dei condannati. Protagonista della vicenda John Grant, condannato a morte afroamericano di 60 anni che, dopo la prima delle tre iniezioni letali, ha avuto convulsioni e vomitato più volte costringendo i sanitari a intervenire per cercare di alleviare la sua sofferenza. L’episodio ha scosso l’opinione pubblica e sollevato sospetti sugli effetti del siero utilizzato.

Come riportato dalla Cnn, la procedura è iniziata intorno alle 16: dopo la prima puntura, il detenuto si è subito sentito male e nel giro di pochi minuti lo staff medico del penitenziario si è visto costretto a entrare più volte nella sala dell’esecuzione per asciugargli il volto. Un quarto d’ora dopo, l’uomo è stato dichiarato incosciente e il personale gli ha somministrato le altre due dosi del cocktail letale. Solo alle 16,21, a più di venti minuti dall’avvio della pratica, la dichiarazione di decesso. “Grant ha iniziato a tremare poco dopo la prima siringa“, ha raccontato il reporter dell’Associated Press Sean Murphy, che ha assistito alla scena. “Ha avuto circa 20 convulsioni e ha vomitato diverse volte prima di svenire. Ho visto 14 esecuzioni ma è la prima volta che mi capita una scena del genere”, ha detto il giornalista.

John Grant era stato condannato a morte nel 2000 per aver ucciso un dipendente della struttura carceraria ma il via libera all’esecuzione è arrivato solo pochi giorni fa dopo pronunciamento della Corte Suprema degli Stati Uniti. Il protocollo applicato su di lui era infatti già stato utilizzato nel 2014 e nel 2015, ma l’evidente sofferenza dei detenuti riscontrata anche in quei casi aveva portato lo Stato dell’Oklahoma nel 2015 a dichiarare una moratoria per sospendere le esecuzioni.

Nel 2021 il cambio di rotta dell’amministrazione e la dichiarazione dei servizi penitenziari statali sul fatto che la pena di morte potesse essere ripristinata in quanto la metodologia era “umana ed efficace“. Il calvario di Grant sembra però aver dimostrato il contrario suscitando un vespaio di polemiche: “L’Oklahoma aveva bloccato i suoi ultimi tre tentativi di esecuzione prima della sua pausa di sei anni, ma apparentemente non ha imparato nulla da quell’esperienza”, ha commentato ad esempio Robert Dunham, che gestisce il Death Penalty Information Center. Al centro delle critiche soprattutto il Midazolam, il siero utilizzato per pratiche di questo tipo, sospettato di causare dolori atroci.

Pochi giorni prima dell’accaduto, l’avvocato di alcuni detenuti, Dale Baich, aveva dichiarato che “ci sono ancora serie domande” sul dolore causato dal cocktail letale e la sua conformità con la Costituzione degli Stati Uniti, che vieta “punizioni crudeli e insolite“. “Un processo su questa particolare questione dovrebbe iniziare a febbraio e le esecuzioni non dovrebbero riprendere prima di allora”, aveva aggiunto il legale. Mercoledì una Corte d’Appello gli aveva dato ragione sospendendo l’esecuzione di Grant ma le autorità dell’Oklahoma si sono rivolte alla Corte Suprema che in extremis ha dato l’ok a procedere.