Mondo

Tunisia, il golpe ‘silenzioso’ del presidente Kais Saied: pieni poteri, decreti irrevocabili e modifiche alla Costituzione

Le tre pagine di decreto presidenziale diffuse nella serata di mercoledì danno di fatto pieni poteri al capo dello Stato che, così, potrà operare senza dover rendere conto al Parlamento, ancora congelato, e assumendo il potere esecutivo che dovrebbe spettare al governo. Intanto, continuano le purghe nei confronti di esponenti dell'opposizione

Il presidente tunisino che tiene in mano le redini del Paese dal 25 luglio, giorno in cui ha annunciato la sospensione delle attività del Parlamento e licenziato gran parte del governo, continuerà a rimanere alla guida dello Stato nordafricano. E lo farà da solo. Se fino a oggi la road map di Kais Saied non era chiara perché mai stata esplicitata, nonostante le numerose richieste di chiarimento, ora è scritta nero su bianco su tre pagine di decreto presidenziale rese pubbliche ieri sera. Un testo breve e conciso che determina il futuro della Tunisia e sembra inaugurare, di fatto, un ritorno al passato. Le istituzioni non funzioneranno più come accadeva fino a due mesi fa e il modus operandi adottato a partire dal 26 luglio, da tanti considerato una semplice “fase di transizione”, diventerà la norma.

Ignorando le raccomandazioni della comunità internazionale e senza scendere a compromessi con la società civile, Saied si è attribuito i pieni poteri. A partire da quello esecutivo, che spetterebbe invece al governo: sarà Saied stesso a emanare i decreti, si legge nel testo, “assistito” da un governo e da ministri da lui nominati. I suoi provvedimenti saranno irrevocabili. Tra gli articoli che più preoccupano chi teme la deriva autoritaria, c’è quello sulla Costituzione, che recita genericamente: “L’incipit della Costituzione, l’articolo 1 e 2, e tutte le disposizioni costituzionali che non sono contrarie a questo decreto presidenziale continueranno ad essere applicate”.

La Costituzione del 2014, pilastro della traballante democrazia tunisina, sarà presto oggetto di nuovi emendamenti tramite una commissione ad hoc organizzata proprio da Kais Saied. A conclusione del testo del decreto, l’articolo 22 si felicita per la realizzazione del “nuovo regime democratico” basato su una “reale separazione dei poteri”, che però non c’è, in nome “dei valori della rivoluzione del 17 dicembre 2010”. Il presidente si riserva la possibilità di sottomettere le sue decisioni al popolo tramite referendum e di esercitare così la “democrazia diretta senza intermediari” più volte citata nei suoi discorsi.

Ad anticipare le misure pubblicate sulla gazzetta ufficiale è stato il suo discorso trasmesso in diretta nazionale e pronunciato a sorpresa pochi giorni prima proprio a Sidi Bouzid, la città da dove le proteste che hanno portato alla caduta di Ben Ali hanno preso il via dopo l’immolazione di Mohamed Bouazizi. Per quaranta minuti, interrotto dalle grida della folla che ha chiesto “lo smantellamento del Parlamento”, Saied ha ripetuto più volte che il suo obiettivo resta “la lotta contro la corruzione” tramite la costituzione, promettendo la nomina di un nuovo capo del governo “sulla base delle misure di transizione e che soddisfi la volontà del popolo”. Un nuovo premier che sarà però privato del potere esecutivo e non risponderà al Parlamento, organo che rimane congelato, ma direttamente al presidente stile ancien régime.

Da luglio proseguono inoltre le purghe anche a livello locale, con nuove nomine a lui vicine anche tra governatori e sindaci, e si moltiplicano i processi (spesso di fronte a corti militari) contro alcuni deputati dell’opposizione. Se le misure adottate tramite decreto presidenziale cominciano ad inquietare società civile e alcuni partiti che confidavano in una data limite per le misure eccezionali adottate il 25 luglio, buona parte dell’opinione pubblica rimane favorevole alle decisioni di Saied. Secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto Sigma Conseil pubblicato dal quotidiano Le Maghreb, se si tornasse a votare oggi Saied otterrebbe ancora il 90% dei voti. Buona parte della popolazione chiede da tempo la fine del sistema dei partiti che rappresentano agli occhi dell’opinione pubblica, insieme ai principali uomini d’affari del Paese, la minoranza corrotta che fa affari sulle spalle della maggioranza sfruttando la propria posizione di potere. Se un ritorno al passato per molti rimane inconcepibile, il futuro è un’incognita.

Una prima manifestazione “contro il golpe” è stata organizzata sabato scorso in Avenue Bourguiba da militanti vicini al partito Ennahda e dai seguaci del costituzionalista ed ex consigliere alla Kasbah, Jaouhar Ben Mbarek, figura politica che sta guidando una parte delle proteste. Ai sostenitori del partito Ennahda non si è unita la sinistra tunisina, frammentata in piccole formazioni, che ha tardato ad assumere una posizione univoca. Il vicesegretario del sindacato nazionale tunisino Ugtt, Anouar Ben Kassour, si è dichiarato “sorpreso” dalle disposizioni annunciate ieri dal presidente tunisino. Una nuova manifestazione “anti-golpe” è stata indetta per questo week end.