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Kosovo, la polizia impone targhe temporanee alle auto in arrivo dalla Serbia: tensioni al Nord

Centinaia di vetture hanno bloccato la strada al valico di confine tra Jarinje e Brnjak, dove piccoli gruppi di serbi hanno trascorso la notte dormendo in tenda. Il presidente Albin Kurti ha detto di voler così attivare il "principio di reciprocità": Belgrado chiede infatti lo stesso alle vetture kosovare in ingresso nel Paese

Proteste al confine fra Kosovo e Serbia, dopo che le autorità kosovare hanno imposto la rimozione delle targhe serbe dalle auto in ingresso nel Paese. Vanno infatti sostituite con altre, temporanee e riconoscibili per la sigla RKS – Repubblica del Kosovo. Sono valide due mesi e costano cinque euro. Pristina intende così applicare una legge speculare a un analogo provvedimento serbo, che è già in vigore da anni. Il 20 settembre la polizia speciale kosovara è stata inviata sul confine con veicoli corazzati e si è innescata la tensione con Belgrado, che non riconosce l’autonomia del Kosovo e considera i confini dell’ex provincia come “amministrativi”. Centinaia di vetture hanno bloccato la strada al valico di confine tra Jarinje e Brnjak, dove piccoli gruppi di serbi hanno trascorso la notte dormendo in tenda, mentre altri hanno attraversato la frontiera a piedi. La polizia del Kosovo ha sparato gas lacrimogeno sulle persone in strada, che hanno però continuato a impedire il traffico. La polizia speciale kosovara (Rosu), è presente con circa 350 uomini armati e appoggiati da decine di veicoli blindati. In alcuni casi si sono registrati scontri isolati con le forze dell’ordine, che ha fatto uso di gas lacrimogeni.

A Pristina intanto il premier Albin Kurti ha incontrato gli ambasciatori del gruppo cosiddetto del ‘Quint’ – Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia – per informarli delle nuove misure in vigore ai confini. Kurti fa riferimento al ‘principio di reciprocità‘ proprio per sottolineare la posizione di parità del Kosovo con la Serbia in fatto di indipendenza, sovranità nazionale e simboli statali. Da tempo infatti i veicoli con targa kosovara (RKS) in entrata in Serbia devono sovrapporre una targa temporanea con le sigle serbe. Kurti sostiene che Serbia e Kosovo in sede di dialogo devono parlare alla pari, come due stati sovrani e indipendenti, e che l’esito del dialogo deve essere il reciproco riconoscimento. Posizioni ancora lontane e che non lasciano presagire tempi rapidi per un accordo sulla normalizzazione dei rapporti, che è l’obiettivo del negoziato che si tiene dal 2011 con la mediazione Ue. Parlando a margine dell’incontro a Pristina con gli ambasciatori del gruppo cosiddetto del ‘Quint’, Kurti ha respinto le accuse di Belgrado che parla di provocazione, discriminazione, azione criminale per l’invio di centinaia di agenti armati al nord a maggioranza serba. “In questa reciprocità sulle targhe temporanee, o Kosovo e Serbia hanno entrambi ragione o entrambi sono nel torto. E pertanto o manterremo entrambi le rispettive targhe automobilistiche o consentiremo che in entrambi i casi vengano rimosse”.

Belgrado, dal canto suo, vuole lasciare a Pristina il tempo di revocare le misure: “Se non vorranno, noi adotteremo misure di risposta a difesa della Serbia” e della popolazione serba in Kosovo, ha detto oggi il presidente Aleksandar Vucic. Riferendo alla stampa di una seduta del Consiglio per la sicurezza nazionale, da lui presieduta, Vucic ha parlato di “azioni criminali del regime di Pristina”, che ha inviato nel nord del Kosovo a maggioranza serba centinaia di uomini armati fino ai denti, con decine di mezzi blindati. La Serbia, ha detto, è pronta a proseguire il dialogo facilitato dalla Ue e a lavorare per il mantenimento di pace e stabilità nella regione, ma in nessun caso è disposta ad accettare decisioni imposte con “azioni criminali unilaterali”. A questo riguardo Vucic ha detto di aver respinto una proposta per una soluzione di compromesso sulla situazione nel nord del Kosovo avanzata dal gruppo di Paesi del ‘Quint’: una proposta, ha osservato, inaccettabile poiché, a suo giudizio, basata sulla politica del fatto compiuto. Il suo rifiuto, ha sottolineato, è stato condiviso da tutti i componenti del Consiglio per la sicurezza nazionale. La Serbia chiederà all’Unione europea di dire con chiarezza entro un mese se l’accordo di Bruxelles del 2013 fra Belgrado e Pristina esiste o non c’è più, e – ha fatto sapere Vucic – un silenzio da parte della Ue significherà che tale accordo non esiste più. L’Unione Europea è infatti garante dell’accordo del 2013, che aveva regolamentato i rapporti fra i Paesi di area balcanica. L’Ue si fa sentire tramite Miroslav Lajcak, inviato speciale dialogo fra Kosovo e Serbia: “È importante ridurre le tensioni, ripristinare un’atmosfera pacifica e permettere la libertà di movimento. Siamo pronti a facilitare il dialogo su tutte le questioni aperte. Vucic ha replicato: “Consideriamo inappropriata ogni dichiarazione che equipari le responsabilità di Belgrado e di Pristina”.