Scuola

Perché la foto della professoressa in abito da sposa non è un’immagine da cartolina

La foto di Carmela Santoro, la professoressa di matematica costretta a firmare il suo incarico annuale di docenza in abito da sposa, non è un’immagine da cartolina ma la rappresentazione iconica di umiliazioni e precariato nella scuola.

Titolisti di giornali e commentatori social si sono come di consueto esercitati in interpretazioni romantico-paternalistiche, tanto da spingere la stessa professoressa a sottolineare come non ci fosse niente da festeggiare in quella firma avvenuta in una modalità così insolita, ma solo il sollievo di aver salvato un anno di reddito.

Forse non è vero che se non avesse firmato esattamente quel giorno avrebbe perso un anno di lavoro ma solo qualche giorno di stipendio, tuttavia il senso di precarietà che quell’immagine esprime rimane intatto. Nel precario mondo della scuola non ci si può permettere di rischiare, troppa l’incertezza di sapere se si avrà davvero una cattedra, se si potrà contare o meno su un reddito. Un’eventuale e potenzialmente concreta opportunità di contratto diventa imperdibile, anche a costo di sacrificare qualche ora di quello che dovrebbe essere un giorno bellissimo, raro come quello del proprio matrimonio.

Ogni anno migliaia di maestre e maestri, professoresse e professori partecipano alla lotteria delle cattedre vacanti, senza garanzie e senza certezze, pronti a rimboccarsi le maniche e spesso costretti a cambiare lavoro. Ovviamente non è l’unico problema del personale scolastico. Si pensi all’endemica scarsità degli insegnanti di sostegno, ai servizi essenziali svolti dagli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, dagli assistenti igienico-sanitari e dagli educatori appaltati a cooperative dove vige la disomogeneità di diritti e, di solito, una gara al ribasso con stipendi sottopagati ed erogati nove mesi su dodici.

A loro, dopo averli umiliati, deleghiamo il compito più delicato e più importante per il futuro di un paese: la cura e l’educazione dei bambini e dei ragazzi. La generazione dei giovani insegnanti è la più preparata, specializzata e pronta alla sfida dell’insegnamento che il nostro paese abbia mai avuto, non merita di veder svilita la propria professionalità. A loro, come a tutti i giovani, abbiamo raccontato che il lavoro è una dimensione fondamentale, imprescindibile ma quello che ad oggi siamo stati in grado di offrire è solo precarietà, impoverimento e un futuro senza alcuna certezza.

Una scuola più giusta, in primis nel trattamento del suo corpo docente, deve rappresentare uno dei primi punti della nostra agenda politica. È una sfida che non possiamo perdere.