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Pasdaran, ricercati dall’Interpol e soggetti a sanzioni: ecco il nuovo governo in Iran. Focus regionale, può risentirne dialogo sul nucleare

In linea generale, questo nuovo gabinetto - introdotto da Raisi come un governo "anti-corruzione" - suggerisce due sviluppi che possono interessare l'Occidente: una accresciuta sintonia con le posizioni della Guida Suprema ed una maggiore importanza attribuita dalle autorità iraniane al quadrante regionale e continentale, a probabile detrimento della dimensione globale, incluso il dossier nucleare

Il Parlamento iraniano ha approvato quasi integralmente la squadra di governo proposta dal neo eletto presidente principalista della Repubblica islamica, Ebrahim Raisi, bocciando unicamente la candidatura di Hossein Baghgoli per il ministero dell’Istruzione. Da una prospettiva occidentale, due dati balzano immediatamente all’occhio: diversi dei nuovi ministri sono soggetti a sanzioni da parte del Dipartimento del tesoro americano e almeno la metà dell’esecutivo è formata da ex membri dei governi oltranzisti guidati da Mahmoud Ahmadinejad. È il caso ad esempio di Jawad Owjii al Petrolio, Ezzatollah Zarghami alla Cultura e turismo, Rostam Ghashemi ai Trasporti, Ahmad Vahidi – su cui pende un mandato di cattura dell’Interpol per un attentato ad un Centro ebraico di Buenos Aires nel 1994 – all’Interno e Ali Akbar Mehrabian all’Energia. Alla Salute va Bahram Einollahi, uno dei parlamentari firmatari della lettera aperta per vietare nel Paese i vaccini anti-Covid prodotti da Gran Bretagna e Stati Uniti.

In linea generale, questo nuovo gabinetto – introdotto da Raisi come un governo “anti-corruzione” – suggerisce due sviluppi che possono interessare l’Occidente: una accresciuta sintonia con le posizioni della Guida Suprema ed una maggiore importanza attribuita dalle autorità iraniane al quadrante regionale e continentale, a probabile detrimento della dimensione globale, incluso il dossier nucleare.

“Il presidente e la Guida hanno sempre messo molta enfasi sulla rimozione delle sanzioni”, ha commentato lo scorso 14 agosto alle emittenti locali uno dei nuovi vicepresidenti iraniani, Mohammad Mokhber (un altro è Mohsen Rezaei, veterano della guerra Iran-Iraq, nonché candidato a diverse elezioni, compresa l’ultima). “Ma il nostro piano per guidare il paese non può fare affidamento sulla rimozione delle stesse, dobbiamo anzi agire partendo dal presupposto che il sistema di potere internazionale non le rimuoverà”, ha aggiunto.

Sulla minore centralità del dossier nucleare ha insistito di fronte al parlamento proprio Hossein Amir-Abdollahian, la scelta di Raisi per il ministero degli Esteri, parlando della necessità di “ritrovare un equilibrio” nella politica estera iraniana, troppo vincolata al nucleare, e di rafforzare le relazioni regionali e continentali. Amir-Abdollahian, diplomatico di lungo corso, specializzato in Affari arabi e africani, è una figura vicina alla Guida Suprema, nonché molto ben rappresentativa della vicinanza di vedute tra quest’ultima e le Forze Quds, il reparto dei Pasdaran per le operazioni all’estero, guidato fino a gennaio 2020 da Qassem Suleimani. Proprio con quest’ultimo, Abdollahian aveva un rapporto molto stretto: sarebbe stato proprio Suleimani a chiedere a Zarif, 8 anni fa, di mantenere Abdollahian all’interno del ministero degli Esteri, dopo aver contribuito alla sua stessa nomina ad ambasciatore in Bahrein dal 2007 al 2010.

Una richiesta accolta fino al 2016, quando i crescenti conflitti col ministro degli Esteri, Mohammad Jawad Zarif, lo spinsero a “riparare” in Parlamento, nel ruolo di consigliere di due speaker consecutivi: Ali Larijani prima, e Mohammad Baqer Ghalibaf, che sarà una spina nel fianco sul dossier nucleare durante il secondo mandato del governo Rouhani. Se è vero che la sopravvivenza di Abdollahian all’interno del ministero degli Esteri nel governo Rouhani, dopo esser stato scelto da Ahmadinejad, si dovette all’influenza di Qassem Suleimani, è altrettanto realistico attribuire al neo ministro degli Esteri una certa capacità di adattamento, connaturata alle sue credenziali diplomatiche.

Una cosa sembra certa: è a figure come la sua che Zarif si riferiva nelle ormai famose conversazioni private uscite in alcuni leaks, quando parlava della “frattura” tra interessi della diplomazia civile e quelli del comparto militare, soprattutto in riferimento alle Guardie della Rivoluzione. Abdollahian, dal punto di vista dell’esecutivo iraniano, rappresenterà una elemento di armonizzazione tra i due comparti, essendo molto vicino al secondo.

La sua nomina da una parte annuncia un minore protagonismo del ministero degli Esteri rispetto al periodo a guida Zarif, e dall’altra, nel “retrocedere” il ministero ad una sorta di centro di coordinamento delle istanze del comparto militare sul piano delle strategie regionali, prepara il terreno ad una accresciuta importanza del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, guidato dal generale Ali Shamkani.

Se la scorsa settimana lo stesso Amir Abdollahian ha incontrato Enrique Mora, capo di staff dell’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri, Josep Borrell, ribadendo la volontà iraniana di riprendere i colloqui per un nuovo accordo sul nucleare, negli stessi giorni si registrava l’esplorazione di un altro sentiero, in funzione di una nuova intesa tra Iran e 5+1.

Il neo presidente Raisi ha infatti incontrato il ministro degli Esteri giapponese, Toshimitsu Motegi, per chiedergli lo sblocco di alcuni fondi iraniani, congelati in banche giapponesi per via delle sanzioni. A margine dell’incontro, si sono rincorse le voci secondo cui Teheran starebbe cercando di coinvolgere Tokyo come mediatrice principale in vista di un nuovo accordo sul nucleare con Washington. Che si tratti di un governo pienamente principalista non ci sono dubbi e forse lo si può capire dal commento di Robert Malley, capo dei negoziatori americani sul nucleare, il quale si è augurato che Teheran torni al tavolo negoziale con un “approccio realistico”, che permetta il raggiungimento di “compromessi su argomenti delicati”.

Una cautela e un equilibrio non pienamente raccolti dal primo ministro israeliano Naftali Bennett, il quale ha invece reiterato l’intenzione di portare avanti operazioni militari mirate, per minare il programma nucleare iraniano, e di volerne parlare col presidente americano Joe Biden. Sul piano regionale l’Iran ha delle urgenze di stabilizzazione, soprattutto in Iraq – dove Abdollahian ha sviluppato una lunga esperienza – e in Afghanistan, col quale Teheran condivide oltre 900 chilometri di confine e nel quale hanno appena preso il potere i Talebani. Tutto ciò, senza dimenticare che la pandemia da Covid-19 è ancora nella sua fase acuta.