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La Polonia blocca la restituzione dei beni confiscati dopo la guerra. Usa: “Preoccupati”. Israele: “Danneggia memoria dell’Olocausto”

Per l'entrata in vigore manca solo la firma del presidente Andrzej Duda. Nello stesso giorno il Parlamento ha dato il via libera anche alla legge sui media che, di fatto, limita la libertà d'informazione

Un limite di 30 anni per rivendicare i beni saccheggiati e confiscati durante e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. La Polonia ha approvato una legge che, di fatto, impedisce agli ex proprietari, soprattutto i sopravvissuti all’Olocausto e i loro discendenti, di riottenere le proprietà espropriate in primis dal regime comunista dopo la guerra. La decisione entrerà in vigore solo dopo la firma del presidente Andrzej Duda, esponente dell’ultradestra. La stessa che Matteo Salvini lo scorso maggio puntava a compattare a livello europeo, istituendo un maxi gruppo al Parlamento Ue che unisca nazionalisti, conservatori e le anime dei popolari vicine a Orban. E di cui fa parte anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

La norma è stata immediatamente condannata sia dagli Stati Uniti che da Israele. “Siamo preoccupati dalla legge approvata in Polonia che limita la restituzione ai sopravvissuti all’Olocausto e ai proprietari di beni confiscati durante il comunismo”, ha scritto su su Twitter il segretario di Stato Usa Antony Blinken. Mentre il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid ha commentato il provvedimento descrivendolo come un “danno” per “la memoria dell’Olocausto e i diritti civili delle sue vittime”. “Continuerò a oppormi a qualsiasi tentativo di riscrivere la storia. La Polonia sa cosa fare: cancellare questa legge”, ha aggiunto in una nota. Anche Gideon Taylor, presidente della World Jewish Restitution Organization (WJRO), un sostenitore della restituzione delle proprietà, ha puntato il dito contro la nuova norma definendola “ugualmente ingiusta sia per gli ebrei che per i non ebrei“.

L’emendamento approvato, nel dettaglio, pone un limite, di fatto già trascorso, per la richiesta di restituzione del bene, fissando la prescrizione delle richieste a 30 anni dalla decisione amministrativa di confisca della proprietà. In questo modo, quindi, tutti coloro che hanno visto i beni sequestrati in epoca comunista, non possono più fare richiesta. Nel caso degli ex proprietari ebrei, si tratta spesso di case o aziende di famiglia, spazzate via durante l’Olocausto, e le cui proprietà sono state successivamente sequestrate dalle autorità polacche dell’era comunista. La possibilità di riottenere i propri beni, infatti, si aprì solo nel 1989 con la caduta del comunismo. La Polonia, però, non organizzò mai la restituzione delle proprietà, come fecero altri Paesi del blocco comunista, ma lasciò i singoli casi in mano ai tribunali senza mai approvare una legge che regolasse la restituzione o il risarcimento.

L’attuale provvedimento, secondo i difensori del testo, servirà a porre fine alle incertezze sui diritti di proprietà, eliminando i problemi di frode e corruzione emersi nei processi di restituzione che spesso hanno portato a sfratti o alla concessione di immobili con un processo detto di “privatizzazione selvaggia”. Secondo gli oppositori, invece, gli ebrei in particolare saranno ulteriormente penalizzati, sia perché i titolari dei diritti erano spesso lenti a farsi valere nella richiesta di rivendicazione e sia perché spesso le loro proprietà sono state sequestrate due volte, prima dal nazismo e poi dal comunismo.

Nello stesso giorno la Camera ha dibattuto e approvato la legge sui media suscitando polemiche sia dagli Usa che in Ue. Anche questa è una norma controversa che, di fatto, limita la libertà e l’indipendenza dei media polacchi, bloccando l’accesso di proprietari non europei alle società di comunicazione. Una legge che