Mafie

Interessi sulle riserve naturali e il fotovoltaico: l’occhio della commissione Antimafia sugli incendi in Sicilia. Ma la politica va a rilento

Mentre le attività di prevenzione messe in campo dalle istituzioni procedono con tempi troppo lunghi e il personale scarseggia, emergono dubbi sulla mano dietro alle decine di incendi dolosi che hanno colpito l'Isola, tutti avvenuti contemporaneamente, rendendo così impossibile l'intervento in tutti i luoghi delle strutture emergenziali

Ritardi e risorse bloccate da un lato. Dall’altro l’interesse per le riserve, soggette a troppi fastidiosi vincoli, e addirittura l’affaire fotovoltaico: dalle audizioni è emerso che alcuni roghi possano avere questa causa all’origine. La commissione Antimafia regionale siciliana, guidata da Claudio Fava, sta infatti concentrando l’attenzione già da qualche tempo sugli incendi. Il focus finora era stato proprio l’assenza di prevenzione, ma dalle audizioni è emersa questa nuova ipotesi, una tra le tante su cui sta lavorando la commissione siciliana, che vedrebbe gli incendi insistere in quei luoghi – soprattutto al centro della Sicilia, in province come Enna e Caltanissetta – così da liberarli e renderli disponibili per gli impianti fotovoltaici.

Solo un’ipotesi, ancora. Di sicuro, però, la Sicilia, nonostante i tanti roghi degli ultimi anni, arriva alla stagione estiva con una prevenzione antincendi appena iniziata. Interventi per prevenire il disastro che dovrebbero iniziare a febbraio, dicono gli esperti, ma invece sono partiti soltanto a giugno. Si tratta di lavori come la realizzazione e la manutenzione della fascia di parafuochi nel perimetro dei terreni o la sistemazione delle strade di accesso per consentire la circolazione dei mezzi antincendio, per citarne alcune. Opere che possono prevenire i danni che ogni anno puntualmente arrivano: sulle Madonie sono bruciati boschi e animali, dall’altro lato dell’isola, a Catania, 60 case distrutte, mentre sono sette le province devastate dal fuoco ormai da giorni. Non a caso il sindaco del capoluogo etneo, Salvo Pogliese, sintetizza con chiarezza: “Un disastro di enormi proporzioni”.

Un disastro evitabile? Dal lato opposto della Sicilia, il sindaco di Petralia Soprana, nel Palermitano, punta il dito: “Gli incendi sono dolosi”. Sono, infatti, due gli aspetti che scatenano adesso le polemiche. Da un lato il dolo, dall’altro le responsabilità politiche. Quest’ultime sottolineate dal ritardo sulla prevenzione: gli operai della forestale addetti a questo tipo di lavoro sono stati assunti solo a giugno, per questo la prevenzione è iniziata così tardi. Sono stagionali, vengono chiamati “centocinquantunisti” perché vengono assunti annualmente per 151 giorni di lavoro. Assieme a loro ci sono i “centounisti”, addetti allo spegnimento, assunti solo a metà giugno. Sono in tutto 5.800 circa, hanno iniziato tardi e hanno già finito: “Dopodomani saranno tutti a casa”, avverte Tonino Russo, segretario regionale della Flai Cgil. I fondi, d’altronde, sono stati sbloccati con una variazione di bilancio solo da poco e solo una fetta di quelli a disposizione: 64 milioni su 134.

Impasse, storture burocratiche, lentezze: “I tempi della natura non coincidono con quelli della politica”, continua Russo. Così adesso gli occhi sono puntati sul governo regionale. Proprio mentre il presidente Nello Musumeci chiede al capo del governo nazionale, Mario Draghi, la dichiarazione dello stato di mobilitazione del servizio nazionale di Protezione civile per la “eccezionale situazione meteoclimatica che interessa l’Isola”. Eccezionale ma non nuova: “Ci sono alcune ripetizioni alle quali non mancheremo di prestare attenzione”, sottolinea anche Rosario Napoli, capo regionale del servizio antincendio boschivo. Il riferimento è al terribile incendio a Catania che ha distrutto case e stabilimenti balneari. Scene molto simili, anche troppo, si erano viste nel 2019: “Quello di tre anni fa partì dal lato opposto, ma raggiungendo praticamente gli stessi luoghi”, conferma anche Carmelo Barbagallo, responsabile dell’Unione sindacale di base dei Vigili del fuoco siciliani. Barbagallo, catanese, è in servizio da 24 ore e non è ancora finita: “Arriverò a 36 ore consecutive. Da tanto tempo denunciamo la carenza di 300 unità, restando sempre inascoltati. Ieri sera avevamo in coda ancora 121 interventi”.

Sono state, invece, 31 le richieste di intervento aereo in tutta la Sicilia solo venerdì. Sette delle nove province interessate dal fuoco: “Sembra che si siano dati appuntamento tutti ieri. Un’operazione materialmente impossibile, è evidente che con 31 richieste contemporanee dobbiamo procedere per priorità, innanzitutto l’incolumità della popolazione, poi i boschi e così via”, spiega Napoli. Certo desta qualche curiosità il fatto che ogni anno ad essere colpite siano le riserve naturali, la cui gestione fa gola ma è molto limitata dai vincoli imposti. Intanto, quest’anno nel Siracusano sono andate a fuoco praticamente solo quelle.

La Regione Siciliana ha otto elicotteri e un nono preso in convenzione dai Carabinieri, mentre il centro operativo aereo unificato, con sede a Roma, ha disposto due canadair sulla Sicilia e due elicotteri, uno a Sigonella e uno all’aeroporto di Birgi. Sono in tutto 13 mezzi per 31 richieste, tutte nello stesso momento. Il dolo e gli interessi privati, da un lato, si uniscono ai pochi vigili, gli operai del corpo forestale assunti in ritardo, gli scarsi fondi per farli continuare. Così, mentre Musumeci chiede a Roma fondi per intervenire, il Capo dipartimento della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, sottolinea: “Le norme prevedono che la lotta attiva agli incendi sia di competenza delle Regioni. Non si tratta solo di spegnimento, ma anche sorveglianza, avvistamento. Allo Stato invece spetta il coordinamento del concorso aereo quando le Regioni non riescono con i propri mezzi”.