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Dieci anni dalla strage di Utoya, un attacco nero alla democrazia che non è rimasto isolato

Sono passati dieci anni da quel tragico 22 luglio del 2011. L’Europa fu scossa da colpi di arma da fuoco provenienti dall’Isola di Utoya, nel lago Tyrifjorden, dove era in corso il campo estivo dell’organizzazione giovanile del Partito laburista norvegese. A ciò, si aggiunse, a poche ore di distanza, un altro attacco realizzato con l’esplosione di una bomba al Regjeringskvartalet, il quartier generale del governo a Oslo.

L’autore degli attacchi fu Anders Breivik, un norvegese che sbandierava teorie xenofobe e anti islamiste: ad Utoya, armato e vestito da poliziotto, fece fuoco sui giovani, uccidendone 69; ad Oslo uccise otto persone, ferendone tante altre. Le autorità norvegesi arrestarono Breivik e, ritenendolo il responsabile degli attentati, nel 2012 è stato condannato dal tribunale di Oslo a 21 anni di prigione. Che rappresenta il massimo della pena detentiva ammessa in Norvegia, dal momento che l’ordinamento norvegese non contempla l’ergastolo ed il sistema penitenziario è improntato alla riabilitazione del prigioniero.

Anders Breivik ha la pelle bianca, sembra essere “uno di noi”. Come Patrick Crusius, 21 anni, bianco, texano, ha compiuto nell’agosto del 2019 la strage di El Paso. O Tobias Rathien, 43 anni, bianco, tedesco, ha compiuto il 20 febbraio 2020 la strage di Hanau. O, infine, per rimanere nei confini di casa nostra, come Luca Traini, a Macerata, il 3 febbraio 2018.

Sono soltanto alcuni dei nomi che sono saliti alla ribalta negli ultimi tempi e che, in nome di un “fondamentalismo ariano”, hanno all’improvviso preso un’arma e fatto fuoco sulla folla. A questi individui i partiti di destra in Europa e nel nostro Paese strizzano l’occhio, coltivando sacche di consenso e giustificando tali gesti come “scontro sociale, dovuto all’immigrazione incontrollata”. Così Matteo Salvini liquidò l’accaduto a Macerata nel 2018. Ma questo tentativo è, semplicemente, connivenza da parte dei partiti di destra, che puntano il dito contro il migrante di colore che sbarca sulle nostre coste, per minare la nostra quotidianità, ma non si cerca di comprendere cosa abbia spinto quell’europeo bianco che, di fatto, è il “nostro vicino di casa”.

Va detto con altrettanta chiarezza che Breivik, Crusius, Rathien, Traini sono dei terroristi bianchi, neonazisti e neofascisti che usano le piattaforme come veicolo di odio e crescono grazie alla copertura dei partiti dell’estrema destra europea, che siedono nei Parlamenti nonostante le Costituzioni del dopoguerra abbiano previsto il divieto di costituzione. Negli anni Cinquanta, grazie soprattutto all’esperienza della Seconda guerra mondiale, si comprese che in democrazia non può esserci spazio per il nazifascismo, che rappresenta l’antitesi delle fedi politiche, perché opprime tutti le fedi politiche a esso contrarie.

La strage di Utoya ci ha consentito di vedere che alcuni valori fondamentali possono essere perduti con un colpo di arma da fuoco. E questo può verificarsi anche nella più avanzata Norvegia, in cui negli ultimi anni è forte il tentativo di difendere la sua democrazia da una minaccia interna. Questi terroristi bianchi, come Breivik, lavorano contro vittime non scelte a caso e contro la tenuta democratica della nostra società. E dal momento che molti condividono le loro idee bisogna parlarne e non liquidare questi attacchi terroristici come episodi isolati, affinché questo tema non sia più un tabù. Cosa spinge questi giovani europei bianchi, appartenenti alla classe media, a compiere tali gesti?