Politica

Stop incandidabilità per politici condannati e limiti alla custodia cautelare: ecco i referendum sulla giustizia di Lega e Radicali

Il comitato promotore guidato da Matteo Salvini e Maurizio Turco ha depositato in Cassazione i sei testi del referendum. E come anticipato le proposte rischiano di suonare come un vero e proprio atto ostile al governo di Mario Draghi, impegnato con la guardasigilli Marta Cartabia in tre delicate riforme della giustizia

Inserire dei limiti alla custodia cautelare e rimuovere l’incandidabilità per i politici condannati prevista dalla legge Severino. Sono due dei quesiti al centro dell’iniziativa referendaria sulla giustizia della Lega e del partito Radicale. Il comitato promotore guidato da Matteo Salvini e Maurizio Turco ha depositato in Cassazione i sei testi del referendum. E come anticipato le proposte rischiano di suonare come un vero e proprio atto ostile al governo di Mario Draghi, impegnato con la guardasigilli Marta Cartabia in tre delicate riforme della giustizia. E infatti Giulia Bongiorno, nota penalista ed ex ministra leghista, butta acqua sul fuoco: “Sul tavolo del Parlamento ci sono riforme che nulla hanno a che fare con questi quesiti referendari: non c’è nessuno scontro con la riforma Cartabia”.

Per la verità proprio la Cartabia è impegnata in questi giorni a discutere con la maggioranza la riforma del Csm. E il primo quesito di Lega e Radicali riguarda proprio le elezioni al Consiglio superiore della magistratura: il testo prevede l’eliminazione della raccolta firme per i magistrati che vogliano candidarsi a Palazzo dei Marescialli. “Il quesito referendario vuole abrogare il vincolo delle firme e permettere così a tutti i magistrati di candidarsi, senza dover sottostare al condizionamento delle correnti”, sostengono leghisti e radicali. Che col quesito numero 2 recuperano una vecchia battaglia di centrodestra e radicali: la responsabilità diretta dei magistratì. Nelle note diffuse per spiegare l’obiettivo della consultazione referendaria i salviniani sostengono che “al grande potere di cui gode la magistratura in Italia non corrisponde un adeguato obbligo per i propri membri di rendere conto delle eventuali decisioni sbagliate assunte”. Il terzo quesito colpisce ancora i magistrati e chiede che nelle valutazioni sulla professionalità siano anche i componenti non togati dei collegi giudiziari (avvocati e professori universitari) a valutare le toghe.

Di pura ispirazione berlusconiana è anche il quarto quesito: Salvini sfrutta l’iniziativa dei radicali e chiede di separare le carriere dei magistrati. Il Carroccio rispolvera l’accusa di “contiguità tra il pubblico ministero e il giudice” per chiedere di dividere in modo permanente la carriera di giudicante e pubblico ministero. Le parti più provocatorie del referendum, però, sono contenute alla fine. Il quinto quesito vuole imporre limiti alla custodia cautelare: radicali e leghisti sostengono che il carcere preventivo si sia “trasformato in una forma anticipatoria della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza”. Non si capisce in questo modo come dovrebbe fare un giudice a evitare che un indagato per reati gravi inquini le prove, si dia alla latitanza o peggio reiteri il reato.

Tutto dedicato ai politici condannati è invece il sesto e ultimo quesito che vuole abolire una parte fondamentale della legge Severino. Quale? Quella che prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità alla carica di parlamentare, consigliere e governatore regionale, sindaco e amministratore locale in caso di condanna per alcuni reati. Secondo i leghisti si tratta di una misura “sproporzionata rispetto allo spirito della norma”. Il quesito chiede di “abolire l’automatismo per quanto riguarda i termini di incandidabilità, ineleggibilità e decadenza”. Se un sindaco è condannato deve avere la possibilità di rimanere in carica.