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Il Giro d’Italia e il destino di Damiano Caruso: da gregario a campione, strepitoso secondo

Mancano pochi chilometri a Cattolica, sede d’arrivo della quinta tappa del Giro d’Italia quando Mikel Landa, campione basco del Team Bahrein Victorious cade fratturandosi la clavicola.

Il destino ha spesso un punto esatto e un preciso istante in cui si mostra e decide le nostre sorti: Mikel Landa, capitano designato della squadra, termina la sua avventura rosa in elisoccorso volando verso l’ospedale. In quel preciso istante il luogotenente di lungo corso Damiano Caruso acquista i gradi di capitano, libero di volare verso obiettivi sconosciuti.

Se quell’istante fosse stato diverso, se Landa fosse stato più fortunato e fosse rimasto in piedi probabilmente non sarei qui a scrivere di Damiano Caruso. Certamente non avremmo visto tutto quello che è riuscito a mettere sulle strade del Giro il ciclista ragusano. Ed è stato tanto più di quanto possa dire un fantastico secondo posto nella classifica finale.

“Non sono mai stato definito un campione, ma stavolta ho avuto la mia giornata da campione”. Sono parole sue, lucidissime nonostante le abbia pronunciate poco dopo la scalata vincente dell’Alpe Motta! “Sono l’uomo più felice del mondo, mi sono sentito anche io un gigante fra i giganti”. Sono ancora parole sue, di legittima gioia per la conquista di una tappa al Giro d’Italia, vinta con l’azzardo, forza, tenacia e segnata da un gesto davvero gigantesco. Quella pacca sulla spalla al compagno Pello Bilbao. Il ringraziamento alla fatica del gregario da chi il gregario lo ha fatto con onore per oltre 10 anni.

Anche qui, il destino ha voluto che le telecamere ci mostrassero in diretta quel momento di essenza pura. Esaltandolo. Così da trasformare in un istante i tifosi di Damiano Caruso in tifosi di Pello, di una squadra dimezzata che ha cercato di lottare e vincere, dei valori del ciclismo. Con tutta questa responsabilità sulle gambe Damiano ha approcciato gli ultimi 6,5 chilometri di salita. Le gambe e il cuore potevano esplodere per la fatica: c’era Bardet a ruota pronto a soffiargli il meritato successo, c’era un altro gregario – campione Daniel Martinez che, indemoniato, dava tutto per pilotare Bernal in rosa. Il vantaggio si assottigliava, e come in un film già visto il peggio era dietro l’angolo. Bardet non dava cambi, Bernal era a meno di 20 secondi.

Il film stavolta cambia finale e diventa un kolossal, Caruso stacca Bardet e dietro Martinez sputa l’ultimo refolo di anima per il connazionale Bernal. Il colombiano, da solo, non recupera più e Caruso vola verso la vittoria. L’Aquila degli Iblei vola sull’Alpe di Motta, oltre ogni sogno.

L’abbraccio dopo il traguardo col ct Davide Cassani sono un’altra immagine di questa giornata perfetta. Un Oscar alla carriera ha scritto qualcuno, quindi a casa Caruso gli Oscar diventano due (Oscar è il nome di uno dei due figli). Proprio la famiglia, la scelta di rimanere a vivere Ragusa per stare vicino agli affetti sono una delle eccezionali normalità di questo ragazzo!

La cronometro di Milano ha confermato i valori della terza settimana e forse accresciuto la consapevolezza di un ragazzo che ha sempre pedalato bene, più per gli altri che per se stesso. Dal secondo gradino del podio, seppur immerso nella felicità del momento, da trattenere forte per goderselo, avrà scrutato l’orizzonte.

Le prossime due o tre stagioni gli regaleranno una nuova e meritata dimensione? Il destino ha già fatto imboccare un percorso alternativo a Damiano che ha sfruttato al massimo questa rara occasione concessagli. Mi auguro che ce ne siano altre, ma sono certo di una cosa, alla partenza di ogni gara, da adesso in poi, Damiano Caruso potrà scegliere. Lavorare sodo per la squadra o andarsi a prendere ciò che sente dentro, ciò che merita e ha dimostrato di poter conquistare. Come un campione.