Ambiente & Veleni

La Polonia si gioca la faccia (e i soldi dell’Ue) nella miniera di carbone di Turów: la Corte di giustizia impone la chiusura, Varsavia resiste

Il sito di estrazione da anni è al centro di un contenzioso con la Repubblica Ceca, che confina con la zona interessata. Ma il governo polacco non sembra intenzionato ad accettare di buon grado la decisione dell'Europa. Il rischio è di perdere una grossa parte dei 2 miliardi di euro arrivati dal fondo per la giusta transizione. Una battaglia legale che rischia di fare la storia

È diventato un caso diplomatico, ma la miniera di Turów, a pochi chilometri dal confine tra Polonia, Germania e Repubblica Ceca, nel cosiddetto triangolo nero, è anche un banco di prova per Varsavia. Nei giorni scorsi la Corte di giustizia Ue ha stabilito che la Polonia, tra i primi produttori di carbone in Unione europea, debba cessare immediatamente l’attività di estrazione di lignite nella miniera che da anni è al centro di un contenzioso con Praga. Ma il governo polacco non sembra intenzionato ad accettare di buon grado. Il vice primo ministro Jacek Sasin ha spiegato che la chiusura della miniera “potrebbe avere conseguenze catastrofiche per la società e per la sicurezza energetica del Paese”, mentre il premier Mateusz Morawiecki ha annunciato che inizierà il negoziato con la Repubblica Ceca, ma che saranno presentati “altri argomenti perché la Corte di giustizia Ue possa cambiare la propria decisione”. E, prima di partire alla volta di Bruxelles per incontrare il premier ceco, ha tenuto a sottolineare che il caso è stato sollevato a una manciata di mesi dalle elezioni politiche che si terranno a ottobre in Repubblica Ceca. Ma la verità è che quella della miniera di Turów è una vecchia storia, che rischia di esplodere nel momento meno opportuno per la Polonia.

QUELLA FETTA DEL FONDO PER LA GIUSTA TRANSIZIONE – Perché Varsavia è riuscita ad avere la fetta più grossa del fondo per la giusta transizione (2 miliardi di euro), stabilendo più di un paletto. A cominciare dalla data dello stop alle miniere: secondo l’accordo firmato recentemente dal governo polacco e dai sindacati dei lavoratori minerari l’ultima miniera dovrà chiudere entro il 2049, data che fa a pugni con gli obiettivi climatici 2021. Ma tant’è. Alla fine Morawiecki ha portato a casa ciò che voleva, puntando i piedi e sostenendo che Polonia “ancora troppo dipendente dal carbone” avrebbe dovuto essere sostenuta nella sua complessa transizione. D’altronde, nel suo discorso di insediamento, a dicembre 2017, il premier aveva detto che non intendeva abbandonare il carbone “alla base della nostra energia”.

LA MINIERA DELLA DISCORDIA – Varsavia ha così continuato per anni ad annunciare l’apertura di nuove miniere e l’aumento di potenza per le sue centrali. Ne è un esempio la miniera di Turów, che funziona da oltre un secolo e dagli anni Sessanta alimenta anche l’adiacente centrale di produzione di energia. Centrale e miniera si trovano a Bogatynia, nella Bassa Slesia plasmata dal carbone, ai piedi della catena montuosa dei Sudeti. In pratica, in mezzo alle case. Ma questo non ha mai fermato l’attività, attraverso cui annualmente si estraggono 7,5 milioni di tonnellate di lignite. Di più ha potuto l’interesse di Praga. Perché la miniera si trova anche al confine con Germania e Repubblica Ceca e negli anni ha prosciugato le falde idriche di Frýdlant, una cittadina ceca che vive di turismo e di allevamento, arrecando danni a 30mila persone. Ormai in estate servono le autobotti. Qui i comuni hanno lottato insieme contro il gruppo energetico statale polacco PGE e ne è nato un contenzioso.

IL CONTENZIOSO – La concessione mineraria scadeva nel 2020, ma l’azienda (che nella vicina centrale progetta una nuova unità da 496 MW) aveva chiesto una proroga fino al 2044. Nel 2020, poi, la Polonia ha prorogato di sei anni il permesso di estrazione di lignite, senza alcuna valutazione di impatto ambientale. Il ministro degli Esteri ceco Tomáš Petříček ha chiesto invano dei chiarimenti, prima di rivolgersi alla Commissione Ue che, a sua volta, ha sostenuto la posizione di Praga. Per Bruxelles la Polonia sta violando la direttiva Ue sulla valutazione dell’impatto ambientale, che richiede la consultazione transfrontaliera. Falliti i negoziati che si sono svolti a Varsavia, a febbraio l’ultima mossa della Repubblica ceca, che ha fatto ricorso alla Corte di giustizia Ue, chiedendo di sospendere le attività da subito. Per la prima volta nella storia dell’Ue, uno Stato ha fatto causa a un altro per ragioni ambientali, portandolo davanti alla Corte di giustizia Ue. La vicepresidente della Corte Ue, Rosario Silva de Lapuerta, ha accolto la richiesta di Praga fino alla sentenza nella causa generale.

IL BANCO DI PROVA – Ma non si tratta di una faccenda tra Varsavia e Praga. Il 3 maggio scorso la stessa Commissione Ue ha dichiarato che il caso della miniera di Turów può portare all’esclusione della Bassa Slesia dal ‘Just Transition Fund’ (7,5 miliardi dal quadro finanziario pluriennale, più altri 10 miliardi derivanti dallo strumento europeo per la ripresa) approvato pochi giorni fa, in via definitiva, dal Parlamento Ue. La Polonia ritiene che la chiusura della miniera possa avere un devastante impatto sociale nella regione. E certamente quello dell’occupazione è un tema, se i lavoratori hanno protestato contro la decisione della Corte di Giustizia Ue. Il vice primo ministro Jacek Sasin ha ricordato che la centrale elettrica produce il 5% dell’energia elettrica necessaria per la Polonia e fornisce la corrente per le case di 3,7 milioni dei suoi connazionali e che “la chiusura provocherebbe la perdita del lavoro per i 3.500 lavoratori del complesso energetico”. Ma Varsavia è alle strette.

IL PIANO DELLA POLONIA – Alla Polonia l’Ue chiede di fare una scelta, forse ancora più chiara rispetto ai contenuti messi nero su bianco nel piano presentato nei mesi scorsi. Un programma che prevede la graduale chiusura di 13 miniere tra il 2021 e il 2049 per arrivare già dopo il 2043 a non essere più dipendenti da carbone e lignite, oggi fonte di più del 70% del fabbisogno energetico nazionale (ma anche causa di circa 50mila morti premature ogni anno). Un piano fatto di luci e ombre e nel quale si prevede di produrre il 20-25% del fabbisogno con almeno 6 nuovi siti nucleare, un altro 30% con impianti a gas naturale e il resto con l’eolico e il fotovoltaico, che stanno già crescendo rapidamente. Qualcosa è già accaduto, come l’abbandono del progetto della nuova centrale a carbone Ostrołęka C, che avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2024 e che pure era stata al centro della campagna elettorale del partito PiS di estrema destra, oggi al potere. Sarebbe stata più grande della centrale di Bełchatów, la più grande d’Europa, ma ancora più insostenibile economicamente, a maggior ragione pensando alle eventuali cause risarcitorie per danni ambientali. La miniera di Turów non sfugge dalla logica. La Polonia dovrà capire (e in fretta) se le costerà la fetta di fondi che è riuscita a farsi destinare.