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Colesterolo e trigliceridi, cosa sono e cosa si rischia: i cinque elementi da tenere d’occhio per evitare la sindrome metabolica o da insulino-resistenza

Un elevato livello dei più semplici lipidi del nostro organismo può avere conseguenze negative. Come la sindrome metabolica, che apre le porte a diabete, malattie cardiovascolari, tumori… La soluzione? Partire dalla conoscenza dei cibi che aiutano a mantenerne i valori nella norma

“Colesterolo” è un termine ormai entrato da anni nel linguaggio comune. Relativamente recente per il grande pubblico è invece il vocabolo “trigliceridi”, altra sostanza che si associa alla prima con conseguenze negative per l’organismo. Il loro denominatore comune è la sindrome metabolica o sindrome da insulino-resistenza. Una situazione esplosiva che, indovinate un po’, è strettamente legata alle cattive abitudini: dieta e sedentarietà.

Conoscerli da vicino – Partiamo prima di tutto dai nostri protagonisti, i trigliceridi. Questi lipidi, i più semplici del nostro organismo, devono il loro nome al fatto di essere composti da tre molecole di acidi grassi legate da una di glicerolo (o glicerina, un polialcole). Vengono in parte prodotti dal fegato e per il resto introdotti con la dieta; rappresentano in effetti il prodotto finale della digestione degli zuccheri. Sono trasportati dal sangue tramite le lipoproteine a densità molto bassa (very low density lipoproteins, Vldl) e si accumulano nei tessuti adiposi, dove vengono stoccati sotto forma di grassi. Costituiscono la principale fonte di energia dell’organismo e formano una barriera che impedisce la dispersione del calore quando fa freddo. Insomma, non sono stati progettati per sfizio: hanno una loro utilità, ma diventano pericolosi nel momento in cui sono in eccesso. Secondo le linee guida, è ad alto rischio chi ha i trigliceridi in una concentrazione ematica compresa tra 135 e 499 mg/dl. Allora questi grassi da utili diventano nocivi e insorge una condizione patologica detta ipertrigliceridemia, gravida di conseguenze negative.

Che cosa si rischia – Attualmente nei paesi industrializzati l’ipertrigliceridemia è un problema piuttosto diffuso: ne soffrirebbe circa un terzo degli statunitensi e degli europei. È quasi sempre associata all’ipercolesterolemia e a bassi livelli di colesterolo buono, ed è anche un indicatore della sindrome metabolica. Per quanto i trigliceridi alti non siano la causa diretta di placche nelle arterie (i cosiddetti ateromi, che portano a un restringimento delle arterie con un conseguente danno agli organi coinvolti, soprattutto cuore o cervello), insieme al colesterolo elevato riducono la fluidità del sangue, contribuendo quindi all’aterosclerosi. Nel complesso, sono collegati a un accresciuto rischio di malattie cardiovascolari: ictus, malattie coronariche, infarto, angina pectoris. Inoltre causano un incremento di glucosio nel sangue, accrescendo il rischio di diabete. Chiaramente i danni variano in base alla persona e al livello di trigliceridi; se sono particolarmente elevati (oltre 1.000) possono causare perfino pancreatiti acute.

Perché aumentano? – Proprio come avviene con la sindrome metabolica e con l’ipercolesterolemia, le cause sono da ricercarsi nella dieta scorretta e nella sedentarietà. Anche la predisposizione genetica può incidere, ma va tenuto conto che l’ipertrigliceridemia ereditaria incide solo per l’1% della popolazione totale: perciò, quando si scopre di avere valori fuori dalla norma, la familiarità non va presa come giustificazione per non modificare il proprio stile di vita, cui si deve la responsabilità principale. Il rischio di trigliceridi alti aumenta con l’età e per chi soffre di alcune malattie, tra cui l’insufficienza renale e, soprattutto, il diabete. Quest’ultima patologia e l’ipertrigliceridemia si influenzano reciprocamente in modo negativo. I diabetici possono anche aver difficoltà a ridurre i trigliceridi, come evidenzia un recente studio statunitense. Nel campione esaminato, costituito da adulti diabetici, il 20% aveva ancora i trigliceridi alti nonostante le statine; forse in parte proprio a causa di questi, si legge nello studio, i tre quarti di loro mostravano un rischio di almeno il 20% di soffrire di malattie cardiovascolari nei successivi dieci anni.

Quando è colpa della dieta –Diversamente da quanto avviene con il colesterolo, per lo meno sul breve periodo, dopo un pasto molto calorico le concentrazioni di trigliceridi nel sangue possono aumentare. Infatti, se in eccesso, grassi, zuccheri e proteine sono trasformati dall’organismo in trigliceridi e accumulati nel tessuto adiposo sotto forma di riserve. Oltre alla quantità, bisogna controllare anche la composizione dei pasti. A finire sotto accusa sono soprattutto i carboidrati raffinati e i grassi.

Carboidrati raffinati. Bene o male lo sappiamo tutti: pane bianco, farina 00, caramelle, dolci, biscotti, cracker, ortaggi ricchi di amido come le patate, cioccolatini, bevande gassate, succhi di frutta ecc. sono tutti alimenti rischiosi per il diabete. Ma non tutti sanno che alzano anche i livelli di trigliceridi. Soffermiamoci un momento sull’insulina, che in tutto questo discorso ha un ruolo chiave. Tra le sue funzioni, c’è quella di formare i trigliceridi a partire dai carboidrati; è facile intuire che maggiore è il consumo di questi alimenti, maggiore la quantità di grassi che ci troviamo in corpo. Senza contare che l’eccesso di carboidrati raffinati aumenta l’insulina in circolo, favorendo l’instaurarsi di una condizione nota come resistenza insulinica, per la quale le cellule diventano meno sensibili all’insulina: di conseguenza questo ormone diminuisce la propria efficacia. Per compensare, il pancreas ne produce di più. Inizialmente la situazione si equilibra e gli zuccheri ematici tornano ai livelli giusti, ma con il tempo si rivela insufficiente l’intervento del pancreas, che intanto si logora per questo superlavoro. Il glucosio continua a circolare nel sangue invece di essere ricevuto dalle cellule: ne conseguono sovrappeso e diabete di tipo 2. Da parecchi studi emerge una correlazione statisticamente significativa tra gli zuccheri aggiunti e la dislipidemia (cioè l’alterazione dei normali livelli ematici di lipidi, trigliceridi e colesterolo). Tra gli zuccheri da tenere d’occhio ci sono per esempio quegli sciroppi ad alto contenuto di fruttosio che oggi si trovano aggiunti un po’ dappertutto, spesso ricavati da mais o riso con una serie di trattamenti chimici; secondo alcuni studi, questi potrebbero aumentare la massa grassa e i trigliceridi, oltre a favorire la resistenza insulinica.

Uno zucchero con effetti particolarmente negativi per l’insulina, e tra l’altro piuttosto diffuso, è per l’appunto il fruttosio. Oltre a favorire la resistenza insulinica e a predisporre al diabete, può causare obesità e steatosi epatica (il cosiddetto fegato grasso, che tra l’altro ostacola il dimagrimento). Non ultimo, è in grado di aumentare i livelli di trigliceridi. Il fruttosio si trova in molti alimenti industriali, soprattutto quelli da forno (anche salati!). Ma pure quello presente nella frutta può fare questo scherzetto esagerando con questo alimento, soprattutto quando viene consumato a fine pasto. Bastano 5 frutti al giorno per causare problemi con il tempo. Naturalmente il pericolo è maggiore con quelli più zuccherini, come uva e fichi, minore con arance o mele. Va anche peggio con i succhi di frutta che, anche se privi di zuccheri aggiunti, sono comunque ricchi di fruttosio. Ciò detto non implica la messa al bando dei carboidrati dalla tavola: i cereali integrali sono benvenuti, perché grazie alle fibre hanno un impatto diverso su diabete e trigliceridi; diverso il discorso degli zuccheri semplici, che vanno invece ridotti nettamente. Fa eccezione la frutta, da consumare comunque con moderazione.

Grassi. Esagerare con i lipidi saturi e i trans può alterare il livello dei trigliceridi e dei grassi nel sangue in genere. Ma mentre per i primi, presenti nei prodotti animali, ci può essere un consumo limitato, i secondi andrebbero proprio aboliti, come si prefigge l’Oms per il 2023. Nel frattempo, possiamo cercare di limitarne al massimo il consumo facendo attenzione a margarine, prodotti da forno dolci e salati, fast food, patatine fritte surgelate e pesce impanato surgelato. A casa, evitiamo di superare il punto di fumo con l’olio (o meglio, usiamolo soprattutto a crudo) e limitiamo le fritture.

Alcol. Tutte le bevande alcoliche, di bassa o alta gradazione, forniscono zuccheri e calorie e hanno un legame negativo con l’ipertrigliceridemia.

Che cos’è la sindrome metabolica: i cinque elementi da tenere d’occhio – Questa condizione, che non è una malattia in sé ma un complesso di fattori di rischio che predispone a patologie cardiovascolari e a varie forme tumorali, sta conoscendo una diffusione allarmante nel mondo occidentale; stime del 2016 relative all’Italia parlano di oltre 10 milioni di adulti interessati, soprattutto dopo i 50 anni. Non esistono dati precisi, come avviene con il diabete o l’obesità, perché la sindrome metabolica è più difficile da misurare. Tuttavia, secondo uno studio americano2, dal momento che questa condizione è “circa tre volte più comune del diabete, la prevalenza globale può essere stimata a circa un quarto della popolazione mondiale. In altre parole, oltre un miliardo di persone al mondo è ora affetta da sindrome metabolica”.

L’aumento del rischio connesso alla sindrome è proporzionale al numero di fattori fuori norma e ha una crescita esponenziale. Chi soffre di questa condizione raddoppia il rischio di cardiopatie e quintupla quello di diabete. Il tutto senza sintomi specifici (le persone affermano di sentirsi benissimo!), finché non si sviluppa una malattia vera e propria. Conviene dunque tenere d’occhio i seguenti fattori: ne bastano tre per diagnosticare la sindrome. Circonferenza vita: (>102 cm uomo o >88 cm donna). A essere pericoloso è soprattutto il grasso corporeo in eccesso intorno all’addome (grasso viscerale). Per capire se è il proprio caso, basta misurare con il centimetro da sarto la propria circonferenza nel punto situato a metà tra le costole e le ossa del bacino e verificare che rientrino nei limiti di cui sopra. Queste misure sono indicative e non sono valide per le persone alte meno di 152 cm e per gli atleti.

Pressione arteriosa: massima ≥ 130 mmHg, minima ≥ 85 mmHg.

Colesterolo Hdl elevato: <40 mg/dl uomo; 50 mg/dl donna.

Trigliceri alti: >150 mg/dl.

Glicemia: >110 mg/dl.

Una buona partenza per vincere – Da una buona colazione nasce il percorso alimentare per controllare i trigliceridi, ma anche il resto dei valori che possono permetterci di stare bene. Ecco tuti i cibi da scoprire e un ricettario da mettere in pratica. La dieta è un’arma molto affilata per combattere i trigliceridi alti, tenere sotto controllo il colesterolo e la pressione alta, prevenire il diabete, tutti fattori di rischio per la sindrome metabolica. Ed è sempre meglio agire a livello preventivo: quando i valori sono fuori dalla norma, mangiare correttamente non basta più da solo e bisogna necessariamente assumere dei farmaci. Da dove partire? Dalla colazione, ovviamente, perché è indispensabile per avviare in modo corretto il metabolismo. La ricompensa sono livelli ematici di colesterolo e trigliceridi nella norma e conseguente riduzione del rischio cardiovascolare. Naturalmente la colazione deve essere equilibrata e rappresentare un vero e proprio pasto in miniatura, comprendente macro- e micronutrienti: proteine di qualità, grassi buoni, carboidrati non raffinati, vitamine, minerali e antiossidanti. Meglio evitare i classici dolci da prima colazione, come merendine o biscotti. Anche i gettonati succhi di arancia o simili non sono ideali. Infatti sono praticamente privi di fibre, quindi causano un rialzo glicemico e possono anche incidere sui livelli di trigliceridi.

Qualche esempio di buona colazione? Un frullato (kiwi-sedano o mela-carota) con semi di chia, fiocchi di soia tostati e cereali integrali con latte di soia e poca uvetta; yogurt senza zuccheri aggiunti, un frutto fresco di stagione, una manciata di semi oleosi e una fetta di pane integrale a lievitazione naturale (in alternativa, lo yogurt può essere sostituito con hummus di ceci o di cannellini spalmato sul pane). In questi esempi spicca la presenza delle fibre, sostanze indispensabili per il benessere: infatti regolano l’assorbimento dei nutrienti ed evitano le fluttuazioni glicemiche. Danno quindi un contributo decisivo nel controllo dei trigliceridi. L’Oms consiglia per gli adulti un consumo quotidiano di 30 g di fibre, obiettivo impossibile da raggiungere senza mangiare verdura, frutta, legumi e cereali integrali. Saranno dunque questi gli ingredienti dei nostri pasti, accompagnati da grassi di qualità. E la merenda? Sostanzialmente una piccola colazione, da effettuare con gli stessi criteri.

Amici a tavola – Ecco una selezione di vegetali che aiutano a tenere a bada i trigliceridi. Ovviamente anche le altre stagioni hanno molto da offrire. Di fatto tutti i vegetali sono utili alleati (tranne gli ortaggi amidacei come le patate, da usare con moderazione).

Aglio e cipolla. Riducono l’incidenza di malattie cardiovascolari agendo anche sui livelli di colesterolo e trigliceridi.

Cacao e cioccolato fondente (min. 85% di cacao, con moderazione). Non saranno prioritari come gli ortaggi, i legumi o i cereali, ma sono tanto buoni! In più, secondo alcuni studi hanno la capacità di diminuire i grassi nel sangue.

Cannella. Quella vera (cioè la regina, o di Ceylon) è in grado di regolare il colesterolo, i trigliceridi e la glicemia. Inoltre riduce il tessuto adiposo e combatte i radicali liberi grazie alla ricchezza di antiossidanti. Per l’uso, basta spolverizzarne un po’ sui cibi.

Carciofi e topinambur. Sono ortaggi dalle caratteristiche diverse ma accomunati dalla ricchezza di fibre, tra cui eccelle l’inulina, una fibra solubile che non viene assorbita dall’organismo e riduce i trigliceridi.

Cereali integrali. In dosi adeguate, non devono mancare nei pasti. Ma non limitiamoci al solo grano, ricordiamoci anche dell’esistenza di riso, saraceno, orzo, ecc. L’ideale è preferirli sotto forma di chicchi oppure nel pane, preparato però con farine fresche e pasta madre. I cereali integrali sono una fonte preziosa di fibre, importante quanto quella dei legumi.

Erbe e spezie. Alcune ricerche ne evidenziano la capacità di regolare le fluttuazioni di glicemia e trigliceridi dopo i pasti. Inoltre erbe e spezie sono digestive e antiossidanti, e aiutano a diminuire l’uso del sale.

Legumi. Insieme ai cereali danno proteine complete, consentendo così di ridurre il consumo di quelle animali. Inoltre sono utili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella riduzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi.

Omega 3. Sono acidi grassi essenziali con un ruolo importante nell’ambito della prevenzione cardiovascolare: secondo uno studio, proteggerebbero otto volte di più di un defibrillatore esterno! Infatti sono in grado di fluidificare il sangue, diminuire la formazione di coaguli e l’aggregazione piastrinica. Inoltre hanno un’azione regolatrice nei confronti di trigliceridi e colesterolo. Gli omega 3 si trovano nei pesci grassi selvatici, come salmone, sarde, alici e sgombro; nei semi di lino, chia e canapa e, in minor misura, nelle noci.

Semi oleosi. Sono importanti per la presenza di grassi di qualità. Nocciole, mandorle, girasole e sesamo forniscono infatti gli omega 6, lipidi con cui non bisogna eccedere ma che dimostrano comunque un’azione contro i trigliceridi e il colesterolo. Altri semi oleosi sono invece fonte di omega 3 (vedi).

Tè verde. Per quanto da confermare, vari studi suggeriscono che il tè verde sia in grado di ridurre il colesterolo cattivo e i trigliceridi.

Tofu. Contiene pochi grassi ma buoni, oltre a fitosteroli e saponine che insieme aiutano a regolare colesterolo, trigliceridi e l’omocisteina (altro fattore legato al rischio di malattie cardiovascolari).

Il nostro ricettario abbassa trigliceridi – Le dosi sono per 4 persone

Riso alla cannella

Insolito e delicato, accompagna ortaggi come finocchi o cavolfiore.

320 g di riso basmati integrale

800 ml di brodo vegetale

2 cucchiaini di cannella

1 foglia di alloro

3 cucchiai di olio evo

sale

Radunate in una casseruola il riso e il brodo freddo; unite la cannella e l’alloro. Coprite, al bollore abbassate la fiamma e cuocete per 40 minuti circa. Alla fine regolate di sale, se necessario, e condite con l’olio. Variante dolce (per colazione o dessert). Eliminate l’alloro e sostituite il brodo con latte di soia. Unite un po’ di gomasio e la cannella. Cuocete come indicato. Dopo 25 minuti unite 2 mele tagliate a cubetti e una manciatina di uvetta. A cottura ultimata fate intiepidire; completate con 3 cucchiai di semi di lino macinato al momento, mischiate e servite.

Fagioli neri piccanti

con carote e rape

450 g di fagioli neri lessati

3 carote

3 rape bianche

3 cucchiai di olio evo

1 rametto di rosmarino

1 spicchio di aglio

sale e peperoncino

Tritate aglio e rosmarino e fateli ammorbidire in una casseruola con poca acqua. Unite le carote e le rape tagliate a cubetti, salate. Portate a cottura il misto a fuoco lento, unendo quando serve un po’ di acqua. Alla fine unite il peperoncino secondo il gusto e i fagioli scolati. Mescolate brevemente, condite con l’olio e servite. Potete accompagnare questo piatto con il riso alla cannella o con un altro cereale come orzo o miglio.

Finocchi all’orientale

4 finocchi

1 scalogno

1 foglia di alloro

brodo vegetale

1 cucchiaino di garam masala (miscela di spezie indiana)

3 cucchiai di tahina

sale

Tritate lo scalogno e mettetelo in una casseruola con il garam masala. Copritelo di brodo e fatelo cuocere per qualche minuto, poi aggiungete i finocchi tagliati a fettine e l’alloro. Salateli e cuoceteli per 15 minuti aiutandovi con il brodo necessario. Stemperate la tahina in mezzo bicchiere di brodo e versatela sugli ortaggi. Cuocete ancora per 5 minuti circa e servite.

Cipolle farcite alle lenticchie

4 grosse cipolle

120 g di lenticchie piccole

1 carota

1 spicchio di aglio

1 pezzetto di sedano

1 cucchiaino di timo

1 cucchiaino di curry

pangrattato

3 cucchiai di olio evo

sale

Ammollate le lenticchie per qualche ora, sciacquatele e scolatele. Tritate l’aglio, la carota e il sedano. Fateli insaporire in una casseruola, coperti di acqua, finché non profumano. Unite le lenticchie, coprite con acqua tiepida, aggiungete timo e curry. Fatele cuocere al dente e salatele. Intanto sbucciate le cipolle e cuocetele al vapore per 15 minuti. Fatele intiepidire, togliete la calotta e prelevate parte del cuore. Tritate quest’ultima grossolanamente e unitela alle lenticchie. Salate leggermente l’interno delle cipolle e farcite gli ortaggi con i legumi. Condite con olio, cospargete di pangrattato, e infornate a 180° per 20 minuti circa.

Broccoli alla canapa

600 g di broccoli

80 g di semi decorticati di canapa

2 cucchiai di farina di riso

150 ml di latte di soia

1 cucchiaino di maggiorana

noce moscata

sale

3 cucchiai di olio evo

Lavate i broccoli e cuoceteli al vapore, conservando l’acqua. Divideteli a cimette, salateli e conditeli con metà dell’olio. Preparate la besciamella. Stemperate la farina nel latte di soia e mischiate il tutto con 150 ml del liquido di cottura. Unite sale e maggiorana. Cuocete la salsa a fuoco medio, rimestando, finché non si addensa. Conditela con noce moscata e il restante olio. Versatela sui broccoli. Unite la canapa, mischiate e servite.

Articolo di Giuliana Lomazzi
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