Mafie

‘Ndrangheta, dopo 22 anni al 41 bis fine pena per il boss Pino Piromalli: torna libero

Il boss, riferisce Il Quotidiano del Sud, è tornato a Gioia Tauro, regno incontrastato della sua famiglia. Era stato arrestato nel 1999 dopo un periodo di latitanza. Il nome di Piromalli compare nella sentenza "'Ndrangheta stragista" ed è stato citato in un'intercettazione dell'ex senatore azzurro Pittelli, imputato nel processo Rinascita-Scott. È il 20 luglio del 2018 quando spiega ai suoi interlocutori come “per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro”

Pino “Facciazza” Piromalli torna in libertà. Dopo 22 anni al 41 bis, il boss ha finito di scontare la pena nel carcere di Viterbo ed è tornato a Gioia Tauro, regno incontrastato della sua famiglia di ‘ndrangheta, dove gli è stato notificato il provvedimento della libertà vigilata per tre anni. La notizia è apparsa stamattina sulle colonne del giornale locale Il Quotidiano del Sud. Piromalli, conosciuto anche con il soprannome di “sfregiato”, è stato arrestato nel 1999 dopo un periodo di latitanza. Il 10 marzo di quell’anno fu sorpreso dai carabinieri in un vecchio casolare trasformato in bunker dotato di un sofisticato sistema elettronico. Per riuscire ad entrare nel covo, gli investigatori dovettero usare i martelli pneumatici. Oltre alla condanna per associazione mafiosa ed estorsione, il boss ha scontato anni di carcere pure per associazione a delinquere finalizzata all’accaparramento degli appalti pubblici per i lavori del porto di Gioia Tauro. La storia e i processi insegnano che proprio quel porto, ritenuto tra i più importanti del Mediterraneo, è nato per volere della ‘ndrangheta e in particolare delle cosche Piromalli e Molé.

“Comandiamo tutto. Chiediamo un dollaro e mezzo a container. Diamo noi le garanzie”. “Garanzia nel tempo, fra 100 anni, 200 anni sempre vi possiamo dare le garanzie… noi siamo là̀, viviamo là, abbiamo il passato, il presente, il futuro”. Così parlava Domenico Pepé, l’esponente delle cosche Piromalli e Bellocco l’11 novembre 1996 con uno dei vertici della MedCenter, la società che gestisce il porto di Gioia Tauro. Il processo “Porto” si è concluso da anni. Quasi venti ne sono passati dalla sentenza di Cassazione, ma lo scalo è ritenuto da sempre una succursale della ’ndrangheta, una delle porte di ingresso in Europa della cocaina proveniente dal sud e centro America.

Droga appunto. Ma anche politica e affari. Pochi anni fa, con l’operazione “Cento anni di Storia”, il pm Roberto Di Palma e la squadra mobile hanno dimostrato come i Piromalli e le altre famiglie della Piana di Gioia Tauro erano infiltrate in alcune società che lavorano all’interno del porto. È l’indagine in cui gli investigatori, seguendo le tracce di un emissario della cosca Piromalli, Gioacchino Arcidiaco, si erano imbattuti nel faccendiere Aldo Micciché, il personaggio (poi diventato latitante fino all’arresto nel 2012 a Caracas, ndr) il quale doveva aprire alla ‘ndrangheta le porte della politica che conta, quella di Forza Italia attraverso Marcello Dell’Utri.

A proposito di Forza Italia, il nome di Pino Piromalli compare anche nelle 1.078 pagine della sentenza “‘Ndrangheta stragista” con la quale la Corte d’Assise di Reggio Calabria ha condannato il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca di Gioia Tauro. I giudici hanno ricostruito le dinamiche che hanno portato nel 1994 Cosa Nostra a non votare più la Democrazia Cristiana e ad appoggiare Forza Italia. Un cambio di rotta condiviso con la ‘ndrangheta. Lo dimostra ciò che avvenne il 24 febbraio 1994 quando il padre del boss (suo omonimo) “Giuseppe Piromalli, durante il processo celebrato a Palmi per l’estorsione per i ripetitori Fininvest, prendeva la parola in aula e dalla cella gridava: ‘Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi‘”.

Circostanza che fa il paio con una recente intercettazione finita nel fascicolo del processo “Rinascita” dove è imputato l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, l’avvocato ritenuto dai pm catanzaresi la cerniera tra la massoneria e la ‘ndrangheta. È il 20 luglio del 2018 quando Pittelli spiega a due suoi interlocutori come “per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro” che l’ex parlamentare calabrese “accostava, per importanza mafiosa, a Luigi Mancuso”, il boss di Limbadi principale imputato del maxi processo che si sta svolgendo davanti al Tribunale di Vibo.

“Facciazza” ha rischiato di non uscire più dal carcere. Diversi anni fa era stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio consumato nel 1998 di Luigi Ioculano, un medico impegnato in politica a Gioia Tauro. In appello Pino Piromalli è stato assolto per insufficienza di prove e la sentenza è stata poi confermata dalla Cassazione. L’ultima assoluzione l’ha ottenuta nel processo “Provvidenza” lo scorso dicembre. Adesso è ritornato in Calabria dove, fino al 1999 e anche dopo mentre era detenuto, secondo la Dda ha guidato il clan assieme ai suoi fratelli Gioacchino Senior e Nino Piromalli. Dopo 22 anni al 41 bis, Piromalli è un uomo libero nel territorio che era il regno dei suoi zii paterni: i boss Mommo Piromalli, morto nel 1979, e Peppino Piromalli, deceduto nel 2003.