Calcio

“È successo”, storie dell’impossibile sportivo. Da Gimondi al Verona 1985, lo scudetto degli “scarti” antitesi della Superlega

È successo - Storie di sportivi che hanno realizzato l’impossibile - è il nuovo libro del Collettivo Banfield. Un viaggio tra atleti diversi di epoche diverse, ma con una caratteristica comune: sono venuti dal nulla e non vogliono tornare nell’oblio. Tutti lasceranno un segno tangibile nella storia della propria disciplina

Sostantivo maschile o participio passato, esito favorevole o rapporto di conseguenza? “Successo” ha una doppia valenza semantica ed è dal dualismo di significati che tutto parte. È successoStorie di sportivi che hanno realizzato l’impossibile – è il nuovo libro del Collettivo Banfield edito da Centoautori (pag. 144, lo trovi qui) con la prefazione di Alberto Zaccheroni. Storie di improbabili che hanno raggiunto l’impossibile sportivo. Bancoroma 1983-84, Felice Gimondi, Evonne Goolagong, John Akii-Bua, Carlos Monzón, Hellas Verona 1984-85, Leicester City 2015-16. Atleti diversi di epoche diverse, una caratteristica comune: sono venuti dal nulla e non vogliono tornare nell’oblio. Tutti, chi più chi meno, lasceranno un segno tangibile nella storia della propria disciplina. Come quello scudetto del Verona, l’impresa di una squadra di “scarti”, che un quarto di secolo dopo è ancora uno dei simboli di chi si è ribellato alla Superlega.

Donne e uomini, italiani e stranieri. Vicende personali e in team di veri e propri outsider, per raccontare l’essenza più riposta e i significati meno evidenti di un’impresa o di una carriera. Gli autori di “È successo” (Andrea Bacci, Max Civili, Diego Mariottini, Giuseppe Pastore, Luca Pelosi, Amedeo Santicchia, Stefano Sassi) raccontano vicende che diventano storia, analisi della personalità dei protagonisti e del contesto storico e sociale. Diverso è il punto di partenza, differenti i demoni da affrontare. Povertà, miseria morale, assenza di tradizione agonistica, isolamento, dittatura, sfiducia ambientale, pregiudizio, razzismo, sfortuna, fortuna. Ma alla fine nulla di ciò che accade è mai casuale.

Qui sotto pubblichiamo un brano del volume tratto dal capitolo VERONA 1985, il titolo “degli altri” (autore Stefano Sassi) per gentile concessione di Diego Mariottini e della casa editrice:

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Cavalese, lunedì 31 dicembre 1984. Mancano pochi istanti all’anno nuovo. Durante il brindisi di capodanno con la squadra, Pierino Fanna prende la parola e alzando il bicchiere al cielo dice a tutti la frase sbagliata:

“Alla salute ragazzi, possiamo vincere lo scudetto”.

Fanna è abituato a cucirsi il Tricolore sulla maglia dopo anni alla Juventus, gli altri no. Un attimo di gelo in sala. C’è anche chi fa i debiti scongiuri in modo più o meno elegante. Ma come gli è mai venuto in mente di dire una cosa del genere? La “solita solfa” dell’obiettivo-salvezza deve restare il mantra sempreverde di una squadra di provincia. La promozione aritmetica, poi un campionato nella parte medio-alta della classifica. Fino alla qualificazione UEFA e alle due finali di Coppa Italia perse con onore. Queste sono le cose da ricordare alla stampa, meglio non spingersi oltre. […]

Nel calcio che conta si è dunque tornati a parlare dell’Hellas Verona, perfino con una certa ammirazione. È una squadra capace di regalare giornate di gloria a tifosi ancorati nella memoria a “20 maggio ‘73, Verona-Milan cinque a tre”, da sciorinare tutta d’un fiato, a mo’ di filastrocca. Malgrado il buon momento Bagnoli resta uomo con i piedi per terra, altro che “possiamo vincere lo scudetto”.
Sarà banale, ma ostentare profilo basso in Italia funziona, specie se non sei la Juventus. Ma alla ripresa degli allenamenti dopo le vacanze natalizie, con la squadra in testa alla classifica, nella sacralità dello spogliatoio, il tecnico guarda negli occhi i suoi con il ghigno serioso e ammette a mezza bocca che sì, dai, ci crede anche lui. Ma non si sappia in giro, per carità, e soprattutto “non fatemi incazzare”.

Uomo particolare, Bagnoli. Non dice mai quello che non pensa, semmai tace. Ma quando sta zitto è difficile capire cosa gli passi per la testa. Aria ombrosa, non sai mai se è una giornata storta o ce l’ha proprio con te. Poi, alla fine, quello che deve dire, dice. Magari un po’ alla volta, ma senza sconti e senza reticenze. Soprattutto a certi giornalisti, che sembrano aspettare soltanto il crollo della squadra. Anche quella è una maniera per tutelare i ragazzi e per rafforzare l’autostima dell’ambiente.

“Pensiamo prima a salvarci”. Non è una bugia o un modo di schermirsi, sembra più una forma scaramantica.

A gennaio 1985 il campionato riprende con l’Hellas che ha due punti di vantaggio su Inter e Torino. Più staccate la Roma vice campione d’Europa e la Juventus che sconta un’annata storta e sta puntando tutto sulla Coppa Campioni. I commenti della critica sono sempre gli stessi: capolista di passaggio, simpatica parentesi al vertice per tenere il posto in caldo a qualcun altro.

“Un sicuro fuoco di paglia, Tanto prima o poi calano”.

Aspiranti indovini che prenderanno ancora più vigore dopo i primi risultati negativi. Un pari interno con l’Atalanta e poi la prima sconfitta in campionato, ad Avellino. La partita viene giocata su un campo pesantissimo, liberato a tempo di record dalla valanga di neve che a inizio anno ha sommerso anche l’Irpinia. Il Verona è decimato e si presenta privo della coppia di attaccanti titolari. Lo stadio Partenio, una piscina di fango misto a neve, diventa lo scenario ideale per l’impresa dei lupi biancoverdi: 2-1 con gol decisivo di Colombo. Un punto in due partite, l’Hellas Verona è campione d’inverno, ma il coro del malaugurio ha preso a cantare a più voci.