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Csaba Dalla Zorza: “Io ‘troppo composta’? Sì ma so trasgredire e fare cose che nessuno si aspetterebbe…”

Scrittrice, food lover e giudice di Cortesie per gli ospiti, a FQMagazine ha offerto un ritratto inedito e completo: "Sono una donna contemporanea, una moglie, una mamma e una professionista". Il suo nuovo programma, The Modern Cook, è partito domenica 11 aprile su Food Network

A otto anni Csaba Dalla Zorza sbirciava nella credenza della casa dei suoi nonni, in Toscana, immaginando di bere il caffè in una tazza di porcellana. «Questo è per quando ti sposerai e verrai qui con il tuo fidanzato», gli rispose sua nonna, che trent’anni dopo tirò fuori il servizio buono quando conobbe il marito di sua nipote. Ma la vita di Csaba, scrittrice, food lover e giudice di Cortesie per gli ospiti, non è un romanzo di Liala. Sì, c’è il profumo di lavanda della Provenza, il fruscio delle gonne di seta, le tovaglie ricamata a punto erba nei cassetti di una casa della buona borghesia, ma c’è anche molto altro. «Sono una donna contemporanea, una moglie, una mamma e una professionista», svela a FQMagazine, raccontandosi in chiave inedita a poche ore dal debutto di The Modern Cook, il suo nuovo programma di cucina al via da domenica 11 aprile su Food Network.

Partiamo da Cortesie per gli ospiti, di cui è giudice con lo chef Roberto Valbuzzi e l’architetto Dego Thomas. Com’è stato girare questa “Covid edition”?
Un po’ pesante perché i parametri di sicurezza sono molto rigidi. Già quella precedente l’abbiamo girata in piena pandemia ma da gennaio la produzione ha adottato soluzioni e protocolli ancora più stringenti.

Ad esempio?
Banalmente, facciamo il doppio dei tamponi e viviamo in una sorta di “bolla familiare”: sia noi giudici che la troupe cerchiamo di evitare al massimo i contatti esterni.

Non le fa strano entrare a casa di perfetti sconosciuti e non poter invece frequentare i suoi amici?
In parte sì, ma è lavoro. Mi dispiace soprattutto che sia stata tagliata via la parte emozionale del programma: per i concorrenti è un’esperienza unica ma adesso non possiamo nemmeno stringere la mano quando ci conosciamo, abbracciarci a fine riprese o fare una foto di gruppo.

Il virus vi ha costretto anche a stravolgere i set e tante puntate le avete registrate all’aperto, tra giardini e terrazze, anche in pieno inverno. Come l’avete gestita?
Non si gestiva (dice ridendo). Guardando da casa non si percepiva ma abbiamo dovuto trovare delle soluzioni, come cenare con una coperta sulle gambe o bere un bicchiere di vino in più per scaldarci. Nei momenti di pausa tra una portata e l’altra di solito restavamo seduti a tavola a chiacchierare, invece ora dobbiamo alzarci, indossare la mascherina e stare distanti. Questo toglie un po’ di «magia» per i concorrenti.

Non toglie nulla invece ai suoi giudizi ironici e tranchant.
Diciamo che per certi aspetti sono maniacale. Una volta, dopo poche settimane di messa in onda, in ragazzino mi riconobbe per strada e disse alla madre: «Guarda, c’è la signora esperta di cucchiaini». Ancora oggi mi domandano qualche sia il mio vero lavoro.

E lei cosa risponde?
Che sono una scrittrice di libri di cucina prestata alla tv.

Molti invece credono che lei sia un’esperta di bon ton.
Cortesie per gli ospiti ha tirato fuori un lato che mi appartiene ma non sono né un’esperta di bon ton né di galateo.

E come lo ha affinato questo lato?
Leggendo, studiano e coltivando la passione per la tavola. Ma sono un’autodidatta, tra i 25 e i 30 anni mi sono fatta una cultura di bric-à-brac, spaiato, tessuti e abbinamenti. Ci sono donne che collezionano scarpe, io servizi di piatti e tovaglie. Sono attenta alle buone maniere e alla ricerca del bello.

Se lo ricorda il provino per Cortesie per gli ospiti?
Mi è rimasta impressa la faccia del regista quando dissi: «Questa tavola è apparecchiata in modo sbagliato». I bicchieri erano posizionati male, i cucchiaini erano sbagliati. Tornando a casa, dissi a mio marito: «A chi vuoi che interessi come si apparecchia la tavola?». Invece mi chiamarono per altri due provini e mi presero.

Secondo lei perché l’hanno scelta?
Perché ero riuscita a dare un senso diverso, forse curioso, a una cosa semplice. Il mio ruolo nelle edizioni precedenti non c’era, al massimo ci si limitava a «la tavola mi piace, no non mi piace». Ho solo fatto riscoprire la voglia di tirare fuori dalle credenze il «servizio buono».

L’episodio più imbarazzante che vi è capitato in questi anni di Cortesie per gli ospiti e che non abbiamo visto in tv?
Noi tre diciamo sempre che “il più bello viene tagliato” – ma è per motivi di scena. Talvolta siamo nel mezzo di discussioni familiari, ed è imbarazzante.

Da chi l’ha ereditato il gusto per la tavola apparecchiata comme il faut?
Vengo da una famiglia mediamente borghese – non nobile, come ho letto da qualche parte – in cui si apparecchiava bene tutti i giorni. Mia nonna e mia mamma ci hanno sempre tenuto a una tavola curata: non ho mai visto i tovaglioli di carta, per dire.

A proposito: la sua battaglia contro i tovaglioli di carta è una granitica certezza di Cortesie per gli ospiti. Eppure dopo 200 puntate i concorrenti ancora ci cascano.
In parte perché sono masochisti in parte perché vogliono essere a tutti i costi originali. Un po’ alla volta però stanno sparendo, mentre continuano a utilizzare i cucchiaini da thé al posto di quelli da dolce.

Qual è la scelta ruffiana per aggiudicarsi il suo voto?
Hanno capito che mi piacciono le tovaglie con pizzi e ricami, quelle di una volta. Ma ora stanno esagerando e spesso sbagliano piazzando piatti bianco ottico che sono un pugno nell’occhio.

Risponda di getto: ma non è un po’ stufa di questa immagine da «precisetti»?
(ride) No. Perché non indosso una maschera quando vado in tv, sono sempre io. Mi vesto uguale, mi pettino allo stesso modo. Solo che tutti i giorni mi trucco molto meno.

Ed è sempre così composta?
I miei figli dicono che in tv sono meno precisa che nella vita privata. Mi tengo un po’, senno rischierei di essere ancora più inflessibile.

Quando si riguarda, si piace?
Non mi riguardo sempre. Detto questo, non recito un ruolo, al massimo mostro una parte di me. Mi dispiace che ci siano persone che pensavo che sia rigida, noiosa, una che non si gode la vita. Io dico sempre che chi conosce bene il codice stradale è quello che quando sgomma si diverte di più. Sono una persona che può tranquillamente uscire dai binari delle regole e divertirsi, ma non vado alla cieca.

Qual è il suo lato dark?
Non credo di averne uno. Ma come tutti so trasgredire e fare cose che nessuno da me s’immaginerebbe. Solo che non le racconto in giro.

C’è una critica che l’ha infastidita?
No, ma mi fa ridere quando le persone pensano che io sia una che vive di superficialità e di tovaglie di fiandra. La gente pensa di conoscere davvero un personaggio guardandolo in tv o sui social, mentre ognuno di noi lì mostra solo ciò che vuole.

La passione per la cucina quando è scoppiata?
L’ho sempre coltivata, anche se in ambiti diversi. Ho lavorato a lungo nel marketing editoriale e uno dei miei clienti era Mondadori, dove mi occupavo degli allegati di cucina, da Sale e Pepe a quelli di Donna Moderna e Sorrisi e Canzoni.

La svolta quando è arrivata?
Nel 2003, a 32 anni. Chiusi una relazione che durava da tanti anni – quelle del tipo che ti fidanzi da ragazza e ti lasci in età adulta – e decisi che volevo cambiare vita per realizzare in sogno di diventare una romanziera. Ma capii presto che era una scelta azzardata.

E cosa fece?
Il mio yoga personale era cucinare così, come la protagonista del film Sabrina, decisi di trasferirmi a Parigi. «Se mi prendono a Le Cordon Bleu, cambio davvero vita». Feci richiesta, dopo pochi mesi arrivò la lettera e a luglio iniziai i corsi intensivi in questa importante scuola di cucina.

Prese un diploma in cucina classica francese e cambiò tutto.
Nel 2004 pubblicai il mio primo libro e decisi che mi sarei dedicata solo alla carriera. Ovviamente pochi mesi dopo conobbi per caso quello che sarebbe diventato mio marito e dopo 17 anni siamo ancora qui.

Il suo punto di riferimento chi era?
All’estero iniziava a esplodere il successo di Marta Stewart e di Nigella Lawson. Mi sono ispirata a loro.

Nel frattempo ha pubblicato diciannove libri e domenica 11 aprile su FoodNetwork debutterà con il suo nuovo programma, The Modern Cook. Come funziona?
È un’altra incursione nel mio mondo. Questa volta parto da un presupposto: che oggi non c’è nulla di più moderno che tornare alla cucina della tradizione, realizzata facendosi aiutare dalla tecnologia. Dopo l’abbuffata di consegne a domicilio e piatti pronti, nell’ultimo anno abbiamo riscoperto il valore del prepararsi le cose da soli e del prendersi del tempo per sé.

Nel lancio del programma lei dice: «Il bello della cucina moderna è anche che non ha genere: può farla chiunque, basta volerlo».
Pochi giorni fa, in radio, un’ascoltatrice mi hanno detto che sembra che io viva negli anni ’50, solo perché sostenevo che tendiamo a uniformare tutto mentre per me uomini e donne sono biologicamente diversi e hanno attitudini differenti. Poi tutti possono fare tutto, è ovvio, e la cucina ne è l’esempio.

Lei si sente una donna degli anni ’50?
No, affatto, mi sento molto contemporanea. Ma vado oltre gli stereotipi e il politicamente corretto: una donna oggi cucina perché le va di farlo, non perché quello è il ruolo stabilito dalla società patriarcale. Per me la diversità è un fattore positivo, alimenta i rapporti e i confronti in tutte le famiglie.

Anche quelle gay?
Certo. Io vedo la famiglia come tradizionale, ma sono anche sicura che oggi può prescindere dal sesso di chi la compone e sono felice di sapere che chi si ama possa sposarsi con l’unione civile. E non lo dico per strizzare l’occhio al marketing, come fanno tanti personaggi famosi. Anzi, faccio un appello: vorrei aprire il prossimo Pride, invitatemi.

Del dibattito sull’approvazione del ddl Zan che idea si è fatta?
Io sono per i diritti delle persone. Non voglio avere pregiudizi e penso che chi considera le persone “diverse” come “peggiori” di se stesso sia una persona senza intelligenza né capacità di accoglienza o misericordia. Papa Francesco sta indicando una strada di tolleranza e di amore universale che è molto attuale.

Tornando alla tv: tornerà come giudice nella prossima edizione di Bake Off Italia?
Purtroppo quest’anno non ci sarò, mi dispiace un po’ ma è stato deciso così.

Sui social riceve più complimenti o commenti sgarbati?
Per fortuna più parole belle. I commenti osceni o pesanti li cancello, alle provocazioni invece mi diverto a rispondere.

Cosa le domandano?
Perché mi chiamo così e come faccio a essere così magra. Rispondo che mi chiamo così perché l’ha scelto mio papà, che era veneto, e che sono magra perché ho un buon metabolismo e mi ammazzo di ginnastica. E poi mi chiedono come ho fatto ad arrivare dove sono.

Ovvero?
Cadono nella banalità della donna che è arrivata in tv per via dei soliti aiuti: parenti, amici, amanti. Invece di pensare che una persona ce l’ha fatta grazie alle proprie capacità, all’impegno e allo studio, cadono ancora nel cliché delle scorciatoie.

Il suo grande sogno da realizzare?
Scrivere un libro per il mercato inglese e soprattutto girare una trasmissione tutta in inglese sulla cucina italiana. Quando sogno mi piace farlo in grande.