Cronaca

Erdogan, la storia ‘amico oggi, dittatore domani’ è molto più vecchia

Cerchiamo di essere chiari: Erdogan è un dittatore? La risposta è sì, ma domani forse no.

L’incoronazione a dittatore o presidente democratico è suscettibile di variazione in base alla fase storica. Erdogan era un dittatore, quando l’Europa stringeva un accordo (di qualche miliardo di euro l’anno) con la Turchia per bloccare i flussi migratori? Sicuramente no, altrimenti non gli avremmo stretto la mano e riempito il portafoglio, per fare contenti chi, poi? Giorgia Meloni, Matteo Salvini e co. a casa nostra, che del motto “difendiamo i nostri confini” hanno fatto lo slogan delle loro campagne elettorali. Così, i loro confini sono stati appaltati al sultano di Ankara.

Ma la storia “amico oggi, dittatore domani” è molto più vecchia. Putin è un dittatore? E’ al potere da venti anni e lo sarà per altri venti. Secondo Silvio Berlusconi il leader russo non è mai stato un autocrate, anzi. Semmai un amico con cui andare a fare le vacanze. Per farsi una idea, basta guardarsi qualche bella foto di loro due in qualche dacha o intorno a un tavolo a mangiare, magari con Mariano Apicella a cantare. E questo con buona pace di Anna Politkovskaya, assassinata sul pianerottolo di casa sua perché con le sue inchieste stava ficcando il naso dove non doveva.

Che cosa dire di Mubarak, oltre ad aver avuto sua ‘nipote’ trattenuta in questura, eravamo a conoscenza della situazione carceraria in Egitto – numerosi erano i report di Amnesty International – eppure la politica e le imprese hanno sempre fatto affari con il signor Hosni. A darci una idea dell’Egitto di quegli anni c’era anche un bel romanzo di Alaa al Aswany, Palazzo Yacubien, che ci fotografava un paese corrotto il cui radicalismo affondava le sue radici nelle carceri.

Invece, Giorgio Napolitano diede persino una bella decorazione della Repubblica all’illuminato Bashar al Asad, giovane presidente, che aveva “ereditato” – come accade in tutte le migliori democrazie – il potere dal padre. Al diavolo gli arresti e le torture degli oppositori. Di queste rimaneva traccia solo nei libri dei sopravvissuti, come Mustafa Khalifa che nel suo volume, La conchiglia, ha raccontato gli anni di carcere, in barba a Napolitano e non solo che elogiavano il macellaio di Damasco.

Questa confusione fra bene e male l’ha avuta anche Mario Draghi, o forse era uno svarione, quando ha lodato “i salvataggi” che i libici hanno compiuto nel mare. Ma di quale figura mitologica parla, Draghi? E le carceri nel deserto, quelle dove i migranti scompaiono facendo dormire sonni tranquilli ai sovranisti di casa nostra? No comment.

Sono le stesse strutture che negli anni di Gheddafi, quando questi montava le tende a Roma per incontrare giovani modelle da convertire all’islam orgiastico, venivano riempite di oppositori: come Jaballa Mattar, il cui figlio Hisham ha dedicato la vita alla ricerca del padre tramite la scrittura. Il ritorno, pluripremiato romanzo, è la testimonianza degli anni di Gheddafi, nonostante baciamani vari.

Fino a quando il confine fra chi è un dittatore e chi un demcratico rimarrà labile sicuramente costringeremo milioni di persone a fuggire, in nome di una libertà che non può essere loro perché sono “altri” rispetto a “noi”.