Giustizia & Impunità

“Allarmanti perplessità per le critiche della pg di Milano sul costo delle indagini su Eni Nigeria”. La lettera degli ex magistrati

Pubblichiamo la lettera di Laura Bertolé Viale, Maria Elena Visconti e Salvatore Sinagra, già magistrati della Procura Generale di Milano. La missiva è relativa alla richiesta di assoluzione formulata nei giorni scorsi dalla stessa procura Generale di Milano nei confronti di Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, i due presunti mediatori accusati di corruzione internazionale nel processo d’appello sul caso Eni/Shell-Nigeria, già condannati in primo grado a 4 anni di reclusione in abbreviato. Durante la sua requisitoria, infatti, il sostituto procuratore generale Celestina Gravina ha riservato pesanti critiche al lavoro della pubblica accusa portato avanti durante il primo grado di giudizio. Compreso quella relativa al costo delle indagini. “C’è stato un grande dispiego di risorse di cui qualcuno dovrà rispondere”, ha detto la sostituta pg. Da qui la lettera di Viale, Visconti e Sinagra che pubblichiamo di seguito.

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Le critiche per l’eccessivo costo delle indagini del cosiddetto processo Eni, destano allarmanti perplessità. Innanzitutto per l’autrice, sostituto procuratore generale , quindi componente dell’Ufficio il cui titolare, il Procuratore Generale, ha la vigilanza sulla Procura della Repubblica, cui appartiene il magistrato “sperperatore“.

Ed è al Procuratore Generale che pertiene il potere, presa visione del fascicolo del pubblico ministero, di formulare rilievi specifici e motivati, sulle supposte dissipazioni di denaro pubblico; non certo nella forma volatile, di cui si è letto e prima di conoscere le motivazioni della sentenza assolutoria. Tanto più inopportune appaiono le censure da partita doppia, ove si consideri che il processo è ancora in corso, potendo percorrere gli ulteriori gradi di giudizio.

In terzo luogo il diritto di critica delle sentenze, ma anche delle indagini, non può appartenere al magistrato o al funzionario della porta accanto. Costoro, se dissentono dall’operato di un collega, debbono attivare gli interna corporis se non si vuole ridurre la macchina della giustizia, o in generale della pubblica amministrazione, ad un cortile vociante.

Last but no least. Il processo penale non è un’ impresa tesa al perseguimento di utili (condanne) anche se non può essere consentito al Pubblico Ministero intraprendere azioni di pura sorte. Proprio questo delicato bilanciamento di fini e mezzi impone che siano solo gli organi competenti (Csm, ministro di giustizia) a controllare, nei modi previsti da leggi e regolamenti, l’operato del Pubblico Ministero sotto il profilo finanziario.

Laura Bertolé Viale
Maria Elena Visconti
Salvatore Sinagra
*già magistrati della Procura Generale di Milano