Diritti

Grecia, forze dell’ordine accusate di tortura: non confondiamo rigore e disumanità

Il quotidiano greco Efimerida ton Syntakton nei giorni scorsi ha pubblicato denunce scioccanti su torture che sarebbero avvenute nei seminterrati della questura di Atene ai danni di un militante anarchico. I racconti, qualora corrispondenti al vero, ci rimandano a una Grecia di altri tempi, quelli bui dei Colonnelli.

In Grecia, come in altri paesi in giro per il mondo (dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Inghilterra alla Nigeria), si assiste a proteste – soprattutto da parte dei più giovani – contro la violenza e le brutalità gratuite delle Polizie. Anche in Grecia c’era stata infatti di recente una grande manifestazione contro le violenze delle forze dell’ordine. E a seguire, secondo le denunce, ci sarebbero state le rappresaglie di polizia con arresti arbitrari, minacce, violenze.

Nella stessa Grecia accade che è a rischio di morire il detenuto Dimitris Koufontinas, oggi 64 anni, condannato a undici ergastoli in quanto membro dell’organizzazione terroristica di estrema sinistra “17 novembre”, sciolta nel lontano 2000. Koufontinas, dopo tanti anni di prigionia durissima, durante il governo Tsipras venne trasferito in un carcere più aperto, dove era impegnato in attività agricole. Nel 2017 ebbe anche un primo permesso premio di 48 ore, respirando così la libertà, senza evadere e senza commettere nuovi crimini.

Allora furono dure le contestazioni dei partiti di destra e di Nuova Democrazia. Il gruppo terroristico “17 novembre” è stato responsabile della morte di Bakoyannis, il marito della sorella di Mitsotakis, l’attuale primo ministro greco. Non appena tornata al potere, la destra ha ritrasferito Dimitris Koufontinas nel carcere di massima sicurezza di Domokos.

Dimitris Koufontinas dall’8 gennaio scorso è in sciopero della fame. La sua vita è ora gravemente a rischio. Tutti gli appelli e le manifestazioni di solidarietà sono risultati finora vani. Miguel Urban Crespo, europarlamentare di Podemos, ha presentato un’interrogazione per chiedere quando finirà la guerra di uno Stato contro un detenuto, che tra l’altro da anni aveva un comportamento che non giustificava un trattamento così rigido. Oggi Koufontinas rischia seriamente di subire danni irreversibili o addirittura di morire.

I due episodi fanno parte di una stessa triste rappresentazione del potere, che confonde il monopolio dell’uso della forza con la legittimazione all’abuso della violenza, l’autorevolezza con l’arbitrio, il rigore morale con la disumanità. Si tratta, proprio in Europa, di rimettere al centro della discussione la questione culturale della repressione e della pena, recuperando una visione della convivenza democratica che sembra oggi persa. L’Europa nata dalle ceneri del nazifascismo deve essere profondamente rispettosa di quel patto sociale e costituzionale che ci ha liberato dalle nefandezze della prima metà del Novecento.