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Paolo Rossi contro Franceschini: “Privilegia i musei e non gli attori, tanto le statue non devono pagare il mutuo e non rompono i cogl**i”

L'attore pubblica il suo nuovo libro “Meglio dal vivo che dal morto” in cui parla di teatro, di politica ma anche di qualche aspetto della sua vita privata sempre sul filo dell'ironia 

L’attore e comico Paolo Rossi pubblica il libro “Meglio dal vivo che dal morto” (edito da Solferino) in cui racconta sul filo del rasoio dell’ironia si “confessa” al il dio dei ladri, il Bardo William Shakespeare. Dal ricordo tragicomico delle serate alle Feste dell’Unità al dialogo in sogno con Berlinguer, dal teatro con Beckett, Gaber e Jannacci al cabaret del Derby e il Riccardo III. “Per mettere ordine nella mia vita ci vorrebbe un governo tecnico” scrive nel libro.

L’attore in una intervista a Il Corriere della Sera mette le mani avanti: “Non è un libro autobiografico, è un modo di raccontare in cui non capisci mai quante verità ci sono. Non quante bugie. Ma quante verità… Prima di studiare teatro ho fatto sociologia, Goffman parlava della vita quotidiana come rappresentazione. Recitare ti salva la vita, ma la differenza è se sai recitare bene o male. Noi cantastorie dobbiamo riflettere al giorno d’oggi perché c’è il pericolo che gli umani siano più credibili di noi con le loro finzioni”.

Nel libro c’è la frase “i vincitori di sinistra non si vedono neanche nei sogni” e Rossi spiega: “Nella società dello spettacolo loro sono le star, la gente chiede più selfie a loro che a noi comici. Li considero dei colleghi, con un tocco di invidia perché lavorano più di me. Una battuta umoristica detta da loro in un talk show vale più di qualunque contenuto. La politica è un’altra cosa. Sono un anarchico gentile, un estremista di buonsenso, un giacobino non violento, sono per la ghigliottina teatrale, con la lama che si ferma a due centimetri dal collo: se la fanno sotto lo stesso. Me lo posso permettere perché faccio questo mestiere. Se fossi un operaio”. Infine l’affondo sul ministro della Cultura Franceschini: “Lui privilegia i musei e non gli attori ma è giusto, perché le statue non devono pagare il mutuo e non rompono i coglioni, quindi ha ragione”.