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Nuove sparizioni eccellenti nell’Egitto di al-Sisi: scomparso un giornalista. Neonato cresciuto in carcere tolto alla madre

Il regime continua a usare il pugno duro contro gli oppositori. A farne le spese Patrick Zaki, con l’ennesimo rinnovo della sua detenzione entrata ormai nel secondo anno, centinaia di attivisti ma anche professionisti non direttamente ricollegabili a movimenti di protesta

Sparizioni forzate, un neonato cresciuto in cella e poi strappato alla madre, un giornalista scomodo al potere scomparso dopo essere rientrato in patria: ormai il regime egiziano ha definitivamente tolto la maschera sui diritti umani e continua a mostrare la sua ferocia usando il pugno di ferro nei confronti degli oppositori. A farne le spese Patrick Zaki, con l’ennesimo rinnovo della sua detenzione entrata ormai nel secondo anno, centinaia di attivisti e anche professionisti non direttamente ricollegabili a movimenti di protesta.

I primi due mesi del 2021 sono stati caratterizzati da alcune storie dolorose. Il 22 febbraio scorso, appena rientrato in Egitto da un esilio lungo sette anni, il giornalista Jamal al-Jaml, penna molto critica del regime agli albori della presidenza di Abdel Fattah al-Sisi, è scomparso. Di lui, come Zaki, si sono perse le tracce al controllo passaporti dell’aeroporto internazionale del Cairo per poi riapparire, pochi giorni fa, in una cella dove resterà per 15 giorni in attesa del primo rinnovo della detenzione. Al-Jaml era rientrato nel suo Paese d’origine con un volo da Istanbul, dove ha vissuto in questi anni. Editorialista di al-Masry al-Youm, uno dei giornali più venduti in Egitto, si era schierato fortemente all’opposizione criticando le mosse del nuovo governo creato da al-Sisi dopo il golpe del 2013. A spingerlo lontano dalla terra dei Faraoni era stato lo stesso presidente con una telefonata di ammonimento, riportata in quei giorni del 2014 da vari organi di informazione.

Al-Jaml pensava che quel passato fosse ormai dietro le spalle e invece gli ha presentato il conto. È stato il figlio del giornalista a dare l’allarme: “Mio padre era stanco di stare lontano dalla famiglia ed è voluto tornare in Egitto. Appena atterrato al Cairo International Airport è scomparso” ha dichiarato Baha al-Jaml.

La stessa sorte toccata, di nuovo, al giovane avvocato egiziano Islam Salama che questa mattina, dopo 50 giorni, è stato liberato ed è tornato a casa. Anche se non si sa ancora cosa sia successo in quasi due mesi di detenzione. La sua storia è ancora più complessa perché quella iniziata il 16 gennaio scorso è la seconda sparizione forzata nel giro di meno di un anno, dopo l’arresto nel maggio scorso. Entrato e uscito da un caso giudiziario all’altro, Salama è scomparso due volte, l’ultima appunto da oltre un mese e mezzo. Prima della liberazione, un gruppo con all’interno anche le ong che si occupano del caso Regeni e della detenzione di Patrick Zaki aveva inviato un documento congiunto alle autorità egiziane in cui chiedevano di avere notizie. Le stesse autorità che ad oggi, 46 giorni dopo la sparizione di Salama, continuano a negare di essere a conoscenza delle sorti dell’avvocato.

C’è poi una storia forse ancora più atroce perché coinvolge un bambino molto piccolo. Lui si chiama al-Baraa e oggi ha circa due anni e mezzo. Quando aveva pochi mesi, il 9 marzo 2019, sua madre e suo padre sono stati arrestati ad Alessandria d’Egitto, la loro città natale. Lui, allora neonato, è stato rinchiuso nella prigione femminile di Qanater, al Cairo, assieme alla madre Manar al-Sabad, una professoressa di matematica all’università di Tanta, mentre suo padre è rinchiuso nella prigione di Borg al-Arab ad Alessandria. La coppia è stata arrestata e inserita in uno dei tanti casi giudiziari che prevedono accuse di unione e finanziamento di gruppi terroristici e da quasi due anni hanno visto la loro detenzione rinnovata più di venti volte. Il lato ancora più doloroso della vicenda è che di recente il piccolo al-Baraa, dopo il suo secondo compleanno, è stato tolto alla madre in carcere e dato in affidamento ai nonni. Certo, meglio una casa che una cella in una prigione per crescere, ma ormai il bambino si era abituato alla reclusione al punto da chiedere di tornare ‘in the room’, dentro la cella, assieme alla madre. Anche in questo caso le organizzazioni per la difesa dei diritti della persona chiedono, allo scadere del secondo anno di reclusione in attesa di giudizio, l’immediato rilascio almeno della madre del piccolo.