Ambiente & Veleni

Transizione ecologica, basta greenwashing: si faccia luce sulle ‘cinquanta sfumature di verde’

Nella Babele politica sulla Transizione Ecologica di questi giorni, è la declinazione che fa la differenza: il nuovo Ministero che sta per nascere in Italia si dovrà modellare alla versione francese, solidale e altresì detta inclusiva, o al raddoppio spagnolo, con tanto di sfida demografica in più? A una visione integrale dell’ecologismo che Beppe Grillo e i 5 stelle hanno sposato da subito, o al naturalismo estetico “no-divieti” di Silvio Berlusconi? Sarà una spruzzata di verde in salsa riformista-light alla Chicco Testa, o addirittura al neo-turbo-liberismo di Matteo Salvini? Inciderà davvero il solco della futura Net-Zero Economy, oppure servirà soprattutto a far ripartire l’occupazione, con tanti bei Green Jobs?

Concorrerebbe sicuramente a un chiarimento riuscire a capire che cosa intenda per “transizione ecologica” il nuovo Presidente del Consiglio, considerando che tra le condizioni ineludibili del Recovery and Resilience Facility c’è l’allocazione in questo senso di almeno il 37% dei fondi per i piani Next Generation Eu. Mario Draghi ha esposto le sue idee pubblicamente più volte, dopo aver lasciato la guida della Banca Centrale Europea e prima d’entrare formalmente nel balletto politico italiano.

Sono stati già ampiamente compulsati i suoi interventi più noti (soprattutto il discorso estivo al Meeting per l’Amicizia e l’articolo post-pandemia sul Financial Times), che non contengono, a dire il vero, grandi indicazioni specifiche sulla Transizione Ecologica; ma fanno perlomeno intuire che a Draghi non spiaccia l’intenzione francese, ossia di mirare all’incisività sociale di questa svolta in termini prima di tutto occupazionali.

Curiosamente sono finora passati pressoché inosservati anche un più recente intervento di Draghi al Group of Thirty e, in generale, le linee guida che stanno mettendo a punto le teste pensanti di questo particolarissimo club indipendente e globale. Parliamo di un gruppo informale e super-elitario, non di una barzelletta alla Bilderberg, dove si riuniscono una trentina – da cui appunto il logo G30 – di personalità con grandiosi curriculum, già banchieri centrali o finanzieri di peso internazionale o punti di riferimento accademici, perlopiù economisti monetaristi – tutti rigorosamente “open minded” – che amano confrontarsi da pari a pari, nel più assoluto riserbo, due volte all’anno, per poi provare a suggerire idee chiave sul futuro al sistema economico mondiale.

Il club ha sede in un palazzo della Washington del potere, ma un cuore decisamente mondialista: Israele, Singapore, Messico e Francia sono le nazionalità dei quattro attuali leader del G30 (Jacob Frenkel, Tharman Shanmugaratnam, Guillermo Ortiz e Jean-Claude Trichet) e tra i più autorevoli membri non manca chi, come Mark Carney – già governatore della Banca d’Inghilterra e della Bank of Canada – si è schierato per una terza moneta mondiale, virtuale, che faccia uscire il sistema dal rischio della dicotomia dollaro-yuan (il che prefigura una sorta di posizione da “non allineati” nella nuova guerra fredda Usa-Cina).

Complottisti e dietrologi troverebbero di che ricamare sul G30, ma basta cliccare sul sito group30.org per recuperare i vari report e gli interventi pubblici più recenti. Mario Draghi compare persino in video, nel seminario online sull’ultimo “Special Report” da lui coordinato: 74 pagine pubblicate a metà dicembre del 2020 e dedicate al tema della ristrutturazione delle imprese dopo la pandemia e dell’urgenza di decisioni pubbliche per selezionare quali aziende dovranno essere aiutate, per non trasformare la pioggia dei ristori nell’incubatoio di un nuovo sistema di “imprese-zombie”. Il che vale in ogni campo, a partire dal turismo.

E qui si arriva dritto al cuore della aggettivazione Solidale o Inclusiva: per Draghi è necessaria un’accurata politica sociale e di indirizzo per compensare la crudeltà di queste scelte ineludibili in cui l’ecologia s’inquadra un po’ come la cornice d’interesse pubblico generale.

Di Transizione Ecologica si occupa direttamente un altro “primus inter pares” del G30, Mark Carney, che attualmente è l’incaricato dell’Onu proprio per “Climate Action and Finance”. In materia le linee guida, riassunte nell’ottobre 2020, non lasciano margini di dubbio: per Carney e i Trenta di Draghi bisogna prima di tutto spazzare via quel “sano scetticismo” che aleggia oggi intorno alla svolta verde del sistema imprenditoriale e costringere le aziende a fornire una rigorosa documentazione in materia, introducendo nuovi standard ad hoc della rendicontazione finanziaria, e delegando anche al sistema bancario un compito d’indirizzo e di controllo dei comportamenti virtuosi.

Insomma, non si tratta più di greenwashing, ma all’opposto di fare subito luce sulle “cinquanta sfumature di verde” tra mercato e aziende. Siamo sempre liberi di non credere affatto alle buone intenzioni dei potenti della terra, oppure di pensare semplicemente che i “Masters of Universe” nei momenti più difficili sappiano scegliere i maggiordomi più intelligenti e preparati: ma conviene tener presente il quadro più generale in cui s’inserisce la svolta suggerita da Draghi, Carney and Co.

Gli ultimi giri di walzer del “Capitale disumano” (copyright Roberto Ciccarelli, Il Manifesto), la globalizzazione e l’esasperazione finanziaria hanno prodotto il disastro naturale che è sotto gli occhi di tutti e hanno alimentato, come reazione sociale e politica, un po’ in tutto il mondo, l’Età della Rabbia (titolo di un bel saggio di Pankaj Mishra, 2017).

Movimenti e leader di questa ventata di ressentiment tardo-romantica, populista, nazionalista e peraltro spesso eco-negazionista (alla Bolsonaro e Trump, ma anche stile “gilet gialli” o “no vax-no mask” di oggi), hanno minato gli equilibri stessi del sistema così a fondo che senza la pandemia sarebbe stato pressoché impossibile arginarne la deriva.

Ora nessuno, men che meno chi ha diretto istituzioni finanziarie di caratura mondiale, si può più nascondere quanto sia necessaria una vera e propria rifondazione di sistema, che ha bisogno prima di tutto di uno scopo ideale di medio periodo, diverso dalla crescita tout court (la riconversione alla Net-Zero Economy), e possibilmente in armonia con le nuove sensibilità generazionali ecologico-solidali. Che sono ben riassunte nell’immagine di Greta Thunberg che urla “How dare you?”, come osate?, ai potenti del mondo, ma un po’ anche in quella di Josephine Witt che lancia coriandoli contro Draghi ai tempi della Bce e della crisi greca, sottolineando che le decisioni dei banchieri non sono astratte, ma riguardano le persone.

E questa che dovrebbe essere la prima preoccupazione di chi ha il potere vale ora più che mai, e più che mai di fronte a una transizione ecologica che richiede di saper correre sul filo da equilibrista.