Cronaca

Covid-19, così si è dimezzata Milano. Il futuro delle città e le ombre della “fuga nei borghi”. Le inchieste di FQ MillenniuM in edicola

Il mensile diretto da Peter Gomez, in uscita sabato 13 febbraio, approfondisce la crisi dei centri urbani messi in ginocchio dall'epidemia, a cominciare dal capoluogo lombardo. E raccoglie le storie non sempre entusiastiche di chi, complice lo smart working, è "fuggito" al Sud o in piccoli centri. L'intervista a Stefano Boeri, la testimonianza di Luca Mercalli e qualche buona idea per ripartire. In sicurezza

La pandemia ha dimezzato Milano. Non per la riduzione dei residenti, che comunque nel 2020 sono diminuiti di 13mila persone dopo anni di crescita. A crollare sono stati studenti, pendolari turisti d’affari e di piacere. Le categorie che, prima del Covid-19, di fatto raddoppiavano la popolazione che ogni giorno si muoveva e spendeva in città. Se prima dell’epidemia entravano in città 1,7 milioni di persone al giorno, a ottobre 2020 se ne contavano 953mila, e questo prima che la Lombardia finisse in zona rossa. Dato che la metropoli conta in tutto un milione 393 mila abitanti, l’impatto dell’epidemia ha una dimensione devastante. Non è tutto. Fra le aziende cittadine rappresentate da Confcommercio, il 70% dei dipendenti è attualmente in smart working, vale a dire che sta prevalentemente a casa, non prende mezzi pubblici, non consuma colazioni e pranzi fuori, diserta quasi completamente negozi e servizi dei quartieri a maggiore concentrazione di uffici. La stessa Confcommercio stima che la metà di loro continuerà a fare smart working anche a epidemia passata.

Sempre più nomadi

Qual è allora il futuro delle città oggi piegate dall’emergenza sanitaria? Quali quartieri soffriranno di più, e quali potranno approfittarne per cercare di rivitalizzarsi? O davvero la ricetta può essere quella del ritorno in massa ai paesini di campagna e di montagna via via abbandonati negli scorsi decenni? Sono i temi discussi e approfonditi nel nuovo numero di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 13 febbraio. “Penso a una popolazione urbana che si sposta, non solo il finesettimana, tra città e reti di piccoli borghi”, dice per esempio l’architetto Stefano Boeri, in un’intervista in cui racconta diversi progetti che puntano a fare sistema fra metropoli e paesini, per esempio con il decentramento di dipartimenti universitari o di piccole filiere produttive.

Tra South working e realtà

Perché il trasferimento secco in piccoli centri fuori mano, per esempio il cosiddetto “South working“, non è sempre rose e fiori. FQ MillenniuM ha raccolto diverse storie di chi lo ha sperimentato, e accanto ai vantaggi di una vita più tranquilla a costi drasticamente minori sono spuntati diversi ostacoli: l’integrazione in comunità chiuse e diffidenti, la scomodità di servizi spesso lontani parecchi chilometri di tornanti, le scarse attività culturali, la difficoltà di restare all’interno di quelle reti di contatti necessarie alla crescita lavorativa… Insomma Zoom e la banda larga non sempre bastano a rendere il piccolo borgo realmente attrattivo. La vicinanza a una centro di dimensioni almeno medie o a una stazione dell’alta velocità (per quando torneremo a viaggiare) possono valere molto di più. Fra quelli che hanno fatto il grande salto c’è il climatologo Luca Mercalli, che in un intervento a metà fra analisi e testimonianza, racconta ai lettori proprio la sua nuova vita fra la Valsusa e Torino. Una scelta che gli è costata fra l’accusa di aver fatto una scelta “elitaria”, con una soluzione certo ecologica, ma non alla portata di tutti, e in particolare di chi svolge lavori fisici e manuali.

Smart per battere le emergenze

Intanto però le città possono diventare capaci di affrontare meglio le future emergenze, sanitarie e non, diventando sempre più “smart” a colpi di connessione, domotica, big data. Magari in favore delle fasce più fragili, a partire dagli anziani, prime vittime dell’epidemia. Si va dalle semplici app “salta-code” sperimentate con successo negli uffici pubblici di Pavia a progetti più complessi, come la domotica per rendere più autosufficienti gli anziani soli, un’alternativa concreta al ricovero nelle Rsa, dove il Covid-19 ha fatto strage. A proposito, se tutti i dati sanitari fossero stati davvero in rete in tempo reale, accessibili agli assessorati regionali come a ciascun medico di base, non avremmo affrontato meglio la pandemia e salvato molte vite? Certamente, però la digitalizzazione deve essere affiancata “da piani d’emergenza, percorsi formativi degli addetti e delle popolazione”, dice al mensile Piera Nobili, architetto esperto di progettazione inclusiva. “Non basta il wi fi, sono le strutture che erogano i servizi e i cittadini che devono essere davvero connessi”.

La canapa che fuma la Co2

In attesa di diventare smart, le città si portano dietro retaggi old: come i tre milioni di metri quadri occupati a Torino dallo stabilimento Mirafiori, dove ai tempi d’oro della Fiat lavoravano 50 mila operai, oggi sono 17 mila. Quell’area sarà motore di un nuovo sviluppo, magari con l’auto elettrica, o un fardello insostenibile per gli enormi costi di sicurezza e bonifiche? Cerchiamo di capirlo con un reportage “guidato” da Giorgio Airaudo, segretario della Fiom in Piemonte.

Ma anche l’edilizia può essere smart: FQ MillenniuM racconta che a Bisceglie è in costruzione un condominio di 24 appartamenti fatto in mattoni di canapa: a chilometri zero, grazie a una virtuosa filiera locale, e a impatto meno di zero, perché l’intero processo produttivo consuma Co2 invece di produrne.