Società

Giornata contro il bullismo, perché i numeri sono in crescita e cosa si può fare. Gli esperti: “Servono responsabilità e controlli scolastici”

Nell’anno della pandemia il 61% dei ragazzi afferma di essere una vittima e il 68% di aver assistito ad episodi di bullismo e cyberbullismo. Mancano soprattutto formazione e informazione, carenze che neanche le norme più recenti hanno colmato

Il bullismo si evolve e diventa sempre più pericoloso, perché è lo specchio delle discriminazioni segno, anche, dei nostri tempi, amplificate dalla potenza e dalla velocità di diffusione dell’odio. Ad alimentarlo lacune e ritardi che riguardano sì la questione normativa, ma che vanno anche oltre. “La tutela delle vittime attraverso il diritto è importante, ma più che sanzione, la parola chiave è responsabilità. Di tutti gli adulti: genitori, insegnanti, presidi, avvocati, magistrati, politici, amministratori dei social”, spiega a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Marisa Maraffino, esperta di bullismo e reati informatici e autrice del libro “Il bullismo spiegato a genitori e insegnanti”. Abituata a parlare con le giovani vittime, ma anche con gli stessi bulli, conosce bene entrambe le prospettive. E anche i dati. In occasione della Giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo (7 febbraio) e del Safer internet day (9 febbraio) Terre des Hommes Italia ha diffuso i risultati di un’indagine a cui ha lavorato insieme a ScuolaZoo all’interno dell’Osservatorio indifesa: nell’anno della pandemia il 61% dei ragazzi afferma di essere una vittima e il 68% di aver assistito ad episodi di bullismo e cyberbullismo. È il risultato di carenze non colmate dalle norme, anche quelle più recenti. Lo racconta a ilfattoquotidiano.it il professor Luca Bernardo, fondatore e direttore del Centro della Casa Pediatrica dell’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano, dalla cui esperienza è nato a sua volta il Centro di Coordinamento Nazionale per il supporto ai casi di cyberbullismo scolastico (Co.Na.Cy): “Finora – spiega – è mancato un coordinamento nazionale nella lotta al fenomeno, oltre a una raccolta almeno annuale di dati, con numeri reali che avrebbero aiutato a trovare approcci più efficaci”.

Cosa dice la legge – Ma che tutele ha oggi una vittima? La legge 71 del 29 maggio 2017 interviene in materia di cyberbullismo. Non esiste nell’ordinamento un reato di bullismo, anche se entrambi i fenomeni possono manifestarsi attraverso condotte riconducibili a diversi illeciti, perseguibili in sede civile e penale: dalle percosse alle lesioni, dalla diffamazione aggravata dall’utilizzo dei social, all’istigazione all’odio razziale. Il codice penale esclude l’imputabilità dei ragazzi sotto i 14 anni che, se socialmente pericolosi, possono essere sottoposti a misure di sicurezza. Ma, fino ai 18 anni, i giudici spesso preferiscono alla sanzione penale il ricorso a diversi strumenti previsti dal legislatore per favorire rieducazione e inserimento. Tra questi, la sospensione del processo con messa alla prova, che consente al ragazzo di seguire un percorso al termine del quale il giudice può optare per il proscioglimento.

Cosa manca – L’avvocato Maraffino descrive il bullismo come un’escalation criminosa: “Inizia con l’emarginazione della vittima, isolata, non invitata alle feste. Di solito nessuno interviene. E iniziano le offese in pubblico, l’obbligo a fare qualcosa per ridicolizzarsi, come abbassarsi i pantaloni o mangiare una merenda dopo averla messa nel wc”. Questa è già violenza privata: “Bisognerebbe procedere d’ufficio, ma non accade quasi mai e, nel 70% dei casi, i genitori della vittima trasferiscono il figlio in un’altra scuola, spesso per paura delle reazioni delle altre famiglie”. Un fallimento per la vittima (che spesso verrà sostituita con un’altra persona presa di mira), costretta a cambiare quando è la scuola che dovrebbe farlo. “A Milano – continua l’avvocato – è capitato che in alcune classi i ragazzi creassero dei gruppi WhatsApp, incitando ad atti di stupro o al nazismo e che le scuole rispondessero con incontri sull’inno d’Italia. Non mi sembra un’iniziativa efficace”. Secondo il direttore Bernardo, autore insieme alla collega psicoterapeuta Francesca Maisano del libro ‘L’età dei bulli’, sul tema spesso si organizzano incontri con associazioni che “non hanno le giuste competenze, mentre al nostro Paese serve un lavoro di formazione portato avanti da professionisti riconosciuti”.

Una questione di responsabilità – Serve in primis alla scuola “per evitare di scoprire solo dopo l’accoltellamento di uno studente che quell’arma girava tra i banchi già da giorni” sottolinea Bernardo, secondo cui questi segnali vanno colti subito. Nell’ultima Legge di Bilancio sono stati stanziati 3 milioni di euro per la formazione dei docenti contro bullismo, cyberbullismo e violenza di genere. “Servono responsabilità disciplinari per dirigenti e insegnanti, un controllo periodico sulle scuole con risultati messi a verbale”, spiega ancora l’avvocato Maraffino. Che racconta: “Se gli studenti bullizzano un compagno nel pomeriggio, ci sentiamo ancora dire che queste condotte non riguardano l’istituto, ma le famiglie. Invece tutti abbiamo responsabilità. Non bastano le sanzioni”. Questo non vuol dire che i bulli debbano farla franca: “La scuola deve intervenire drasticamente con provvedimenti disciplinari e occorre denunciare questi reati. Una volta che si procede penalmente (sopra i 14 anni), però, credo che in molti casi siano più efficaci strumenti alternativi come la messa alla prova, se fatta bene. Anche i bulli sono ragazzini e, quasi sempre, dietro le loro azioni si nascondono le responsabilità degli adulti”.

Come si evolvono bullismo e cyberbullismo – Anche il professor Bernardo crede più alla prevenzione che all’inasprimento delle pene. E mette l’accento su ciò che è mancato finora: “In Italia si lavora ancora a macchia di leopardo, senza un coordinamento nazionale e senza una raccolta puntuale di dati scientifici, che tanto avrebbero potuto dirci sull’evoluzione del fenomeno. Invece assistiamo da due o tre anni a un aumento di aggressività”. Il bullismo diventa più complesso ed è una risposta (la peggiore) ai cambiamenti sociali e culturali. Ne sono prova il bullismo omofobico, quello a sfondo razziale che si intreccia al tema dell’integrazione degli alunni stranieri, l’aumento di forme di violenza di gruppo, come il vandalismo contro la scuola, il cyberbullying e il bullismo femminile “che vede le ragazze prevaricare in modalità che una volta caratterizzavano l’universo maschile”. Per quanto riguarda il cyberbullismo, i più a rischio sono i ragazzi e le ragazze dagli 11 ai 18 anni, perché il 92% di loro usa il cellulare e l’83% si connette a internet. Da un lato, questi dati fanno dedurre “che i margini di crescita del fenomeno non siano enormi e che la conoscenza dei rischi connessi ad un uso ingenuo e disinvolto di questi strumenti possa almeno in parte limitarne gli abusi”, dall’altro, spingono il professor Bernardo a suggerisce la creazione di una app al livello nazionale che possa servire ai ragazzi in caso di emergenza, per avere notizie e confrontarsi.

La rete e i social – La legge del 2017 ha introdotto anche l’ammonimento del questore (già utilizzato per i casi di stalking) per i reati non perseguibili d’ufficio o in caso non siano state presentate querela o denuncia: il questore convoca il minore insieme ad almeno un genitore. Si può anche chiedere oscuramento, rimozione o blocco dei contenuti che siano stati diffusi in rete. L’istanza può essere inviata dal minore (con più di 14 anni) o da un genitore e, se entro 24 ore il gestore del sito non provvede, l’interessato può ricorrere al Garante per la protezione dei dati personali. “Il problema è l’attuazione – spiega l’avvocato Maraffino – perché manca una preparazione di massa per un intervento diretto”. Un danno enorme, se si pensa ai social network “dove la presenza di spettatori moltiplicati al livello esponenziale rispetto alla realtà – aggiunge Bernardo – amplifica le umiliazioni subìte dalle vittime”. E se in tutto il mondo si continua a parlare di responsabilità delle piattaforme, la verità è che ovunque le normative nazionali non sono state al passo, lasciando un vuoto oggi difficile da colmare. “Anche se faccio rimuovere una foto da Facebook – spiega il legale – è complicato controllare gli altri siti che l’hanno scaricata. Ecco perché è necessario elaborare un codice condiviso al livello internazionale e indicare un organismo esterno al social che, su segnalazione, congeli il contenuto ritenuto nocivo o pericoloso”.

La proposta di riforma – Sono in discussione congiunta dinanzi alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato diversi disegni di legge, tra cui quello sul ‘bodyshaming’ e ‘fatshaming’, approvato dalla Camera a gennaio 2020. Tra le novità, l’attivazione h24 del numero di assistenza 114, una app anti-violenza e un monitoraggio costante su tutte le scuole italiane. Verranno punite anche quelle condotte in grado di mettere “la vittima in una condizione di emarginazione”. La proposta di legge, inoltre, chiede al Miur la creazione di una piattaforma di e-learning destinata ai docenti e finalizzata all’adozione di strategie anti-bullismo. “Giudizio sospeso – replica l’avvocato – aspetteremo il testo definitivo e, soprattutto, vedremo come verrà applicato”.