Politica

Italia viva vuole una Bicamerale per le riforme costituzionali. Villone: “Inutili e dannose”. Da Bozzi a D’Alema, i precedenti (tutti falliti)

La proposta, che non ha registrato particolari opposizioni, è stata avanzata da Roberto Giachetti e messa sul tavolo durante le trattative tra Pd, M5s, Leu e Iv per arrivare a un Conte ter (poi naufragate). Con l'arrivo di Draghi a Palazzo Chigi non è escluso che venga portata avanti in Parlamento. Negli ultimi 40 anni ce ne sono già state tre, ma senza risultati. Il costituzionalista al Fatto: "Non è il momento di fare riforme della Carta". Ainis: "Basta maxi-pacchetti da 50 articoli'"

A volte ritornano, nonostante i fallimenti. Nel calderone della crisi di governo, innescata da Italia viva e vicina alla conclusione con la salita di Mario Draghi al Quirinale, il deputato renziano Roberto Giachetti ha lanciato l’idea di istituire una nuova commissione Bicamerale per le riforme costituzionali. La proposta, che non ha registrato particolari opposizioni, è stata messa sul tavolo durante le trattative tra Pd, M5s, Leu e Iv per arrivare a un Conte ter, poi naufragate, ma potrebbe essere comunque portata avanti in Parlamento dalla maggioranza chiamata a sostenere l’ex presidente della Bce. In realtà negli ultimi 40 anni di Bicamerali istituzionali ce ne sono state già tre: la commissione Bozzi (1983-1985), la De Mita-Iotti (1992-1994) e quella di D’Alema (1997-1998). Tutte con identico risultato: il nulla di fatto. “La Bicamerale, nella migliore delle ipotesi, è inutile. Nel peggiore dei casi è dannosa”, dice a Ilfattoquotidiano.it Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale ed ex parlamentare.

Il naufragio più recente è quello della Bicamerale voluta da Massimo D’Alema. L’esperimento è finito alla deriva nel 1998 per mano di Silvio Berlusconi. Sembrava tutto fatto all’epoca, dopo un intenso lavoro nelle sedi istituzionali e in seguito al leggendario “patto della crostata”, siglato a casa di Gianni Letta, per blindare l’accordo tra il Lìder Maximo e B. sulla riforma. Ma l’intesa di fronte al dolce della moglie di Letta non è mai stata confermata. Il voto in commissione è un fatto storico, così come la marcia indietro di Berlusconi al momento di votarla in Aula. Una scelta con tanto di coda al veleno: “La Bicamerale è morta. Sia chiaro che non è né un suicidio né un ictus. È un omicidio, l’assassino si chiama Silvio Berlusconi”, attaccò Fabio Mussi, in quegli anni dirigente di spicco dei Ds. La replica di Forza Italia fu affidata all’ideologo degli azzurri Giulio Urbani: “Il plotone di esecuzione che ha eliminato la Bicamerale era piuttosto numeroso. Sono in molti quelli che hanno lavorato per una cattiva riforma”. Il testo prevedeva, tra le varie cose, la riduzione del numero di parlamentari (un numero compreso tra 400 e 500 deputati e 200 senatori) e l’istituzione del Senato federale. “Berlusconi spaccò tutto in Aula, attaccando con la mazza ferrata la proposta che pure Forza Italia aveva sostenuto in Commissione. In realtà fu la Giustizia il territorio su cui Berlusconi decise di rompere”, ricorda Villone, che in quegli anni era senatore diessino. La prima firma sul disegno di legge costituzionale era proprio di Villone.

Ma la tentazione della Bicamerale è ancora più antica: la prima risale al 1983, con la commissione Bozzi, a Palazzo Chigi c’era Amintore Fanfani, ancora per pochi mesi in realtà, prima del passaggio di consegne al primo governo guidato da Bettino Craxi. Aldo Bozzi, all’epoca deputato del Pli, si insediò alla presidenza il 30 novembre 1983, ruolo ricoperto fino al 29 gennaio 1985. Il documento conclusivo prevedeva delle modifiche sulle funzioni del presidente del Consiglio. La seconda è la commissione De Mita-Iotti, in tandem perché per una prima parte (dal settembre 1992 al marzo 1993) è stata guidata dal leader democristiano, poi rimpiazzato dall’ex esponente del Pci. Tra le novità più rilevanti c’era una nuova modalità di elezione del presidente del Consiglio, parlando apertamente di Primo ministro: “Il Parlamento a camere unite elegge a maggioranza assoluta dei componenti il Primo ministro, anche con successive votazioni, su candidature sottoscritte da almeno un terzo dei suoi componenti. Se entro un mese dalla prima riunione del Parlamento nessun candidato ottiene la maggioranza prescritta, il candidato è designato dal Presidente della Repubblica: se il candidato designato dal Presidente della Repubblica non è eletto, il Parlamento è sciolto”, si legge nella sintesi del testo conclusivo.

Per un breve periodo tra i vicepresidenti di quella commissione c’è stato Sergio Mattarella, che ha vissuto in prima persona pure la Bicamerale di D’Alema. In quella commissione era, però, rappresentante del Ppi nell’ufficio di presidenza. Oggi, da Capo dello Stato, potrebbe assistere a un nuovo tentativo: quello del renziano Roberto Giachetti. “Presenterò la proposta di una Commissione Bicamerale per alcune circoscritte riforme costituzionali”, ha annunciato il deputato. Ispirandosi proprio a un modello del passato: “La proposta non intende seguire il percorso delle precedenti Commissioni, ma riprende gli obiettivi della Commissione Bozzi”, ha spiegato Giachetti. Una prova di coraggio, visti i precedenti.

Ma per quale motivo le Bicamerali si sono sempre infrante? “Perché volevano ridisegnare il mondo, riscrivendo molti articoli della seconda parte della Costituzione. E talvolta rimbalzando anche sui diritti previsti nella prima parte della Costituzione”, spiega il costituzionalista e docente all’Università di Roma Tre, Michele Ainis. “Ma le Costituzioni non nascono a tavolino. Vengono fuori da tornanti della storia, spesso anche drammatici. È accaduto a noi nel Dopoguerra. Quelle sono esperienze che uniscono: liberali, democristiani e comunisti, tutti i perseguitati dal fascismo, trovarono un collante”. Anche sul presente Villone manifesta il suo scetticismo: “Oggi il problema è che la destra ha un disegno per l’autonomia differenziata, che spacchetta l’Italia, e il presidenzialismo. Quindi la proposta di Bicamerale può interessare qualche pezzo di opposizione, come Forza Italia e il partito di Toti”. “Ma – conclude Villone – non è il momento di fare riforme costituzionali”.

Agli annali è passata anche la “commissione dei saggi”, nel 2013, presieduta dall’attuale senatore Gaetano Quagliariello. In quel caso non era una Bicamerale, ma un organismo di esperti. Dopo un intenso lavoro, è stata prodotta una bozza suddivisa in sei capitoli. Rimasti a loro volta lettera morta. Ainis suggerisce una strategia diversa: “Il metodo è stato finora sgrammaticato con la pretesa di rifare pacchetti di 50-60 articoli della Costituzione. Le riforme si fanno una per una. Se vengono inserite in un unico quesito il Cnel, le Regioni, il Parlamento, la libertà dell’elettore viene violentata. Non bisogna costringere a scelte ‘prendere o lasciare’ su un blocco di articoli”. “Per questo – conclude il costituzionalista – è fallita anche la riforma di Renzi”. Che però ora ci riprova, con Italia viva, con l’ennesima Bicamerale.