Diritti

Portogallo e Polonia combattono per i diritti civili, in Italia è un tabù: corriamo ai ripari

La settimana appena finita si è chiusa con una notizia storica dal punto di vista dei diritti civili: il Parlamento portoghese ha approvato il disegno di legge che autorizza l’eutanasia in casi di grave sofferenza e/o malattia incurabile e irreversibile. Ora la palla passa al cattolicissimo Presidente della Repubblica Rebelo de Sousa, che potrà promulgare la legge o porre un veto, oppure rinviare tutto alla Corte Costituzionale.

Nonostante la ferrea opposizione della Chiesa Portoghese, il testo della legge prevede che il paziente possa scegliere per sé: la richiesta di morte medicalmente assistita deve essere chiara e libera, esercitata in conformità col percorso di cura e il parere del team medico-sanitario. Unico stop resta sempre il diritto all’obiezione di coscienza per il personale sanitario, tema che continua a sollevare polemiche poiché ostacola e rende ancora più complicato un percorso già doloroso per tutte le famiglie che lo affrontano.

L’Italia, invece, continua a rinviare una discussione seria sul tema demonizzando anche solo la parola “eutanasia”. La legge sul biotestamento entrata in vigore a inizio 2018 è stata immediatamente etichettata come una grande vittoria sul fronte dei diritti… e così è. Ma, come sottolinea l’associazione Luca Coscioni commentando la notizia del Portogallo, oltre 138.000 cittadini italiani hanno firmato una proposta di legge per l’Eutanasia Legale che continua a essere ignorata. Nel frattempo, negli ospedali centinaia di persone si trovano impossibilitate a esercitare piena libertà sui propri corpi, costretti ad aspettare la morte “naturale” attaccati a un respiratore tra la sofferenza dei propri cari o a trovare una soluzione autonomamente, come fece Fabiano Antoniani – dj Fabo – scegliendo il suicidio assistito in una clinica svizzera.

Intanto, in Polonia, pochi giorni fa è entrata in vigore la norma che sancisce il totale divieto di abortire, anche in caso di malformazione del feto. Da allora le proteste per i diritti delle donne, affiancate da studenti, comunità Lgbtq+ e cittadinanza, non si sono fermate. Le conseguenze continuano a ricadere sulle donne che dovranno spostarsi all’estero per interrompere una gravidanza indesiderata o, peggio, saranno costrette a ricorrere a metodi illegali.

Nel nostro bel paese, invece, una settimana sì e l’altra pure si apre la questione dell’obbligo vaccinale anti-Covid19 e infiamma il dibattito tra diritto alla scelta e imposizioni dello Stato legati a motivi di emergenza sanitaria. Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha rilasciato una nota in cui l’obbligatorietà del vaccino viene giustificata esclusivamente per i casi di emergenza come quella che stiamo vivendo. Tuttavia, è indispensabile e necessaria una campagna di informazione trasparente, coerente ma soprattutto comprensibile, basata su dati scientifici.

Insomma, lo scetticismo di alcuni cittadini è comprensibile e – al di là dei no vax più spietati e dei loro complotti mondialisti – si tratta comunque di una novità, in un momento di grande timore e preoccupazione. Informare e non obbligare ciecamente è il minimo che si possa fare, parere condiviso dal Consiglio d’Europa. Decine di altri interrogativi si aprono su questo fronte: è giusto stilare un ordine di categorie da vaccinare, e secondo quali criteri? Lo Stato ha a disposizione una quantità sufficiente di vaccini per poter eventualmente sancire l’obbligo? E ancora: è legittimo obbligare almeno il personale medico-sanitario?

I tre fatti avvenuti in zone diverse d’Europa hanno una cosa in comune: sono successi nel bel mezzo di una pandemia che ancora ci tiene sotto scacco. Tre notizie arrivate con il consueto coro d’accompagnamento: “Vi sembra il momento per discuterne?”. Nei primi due casi non c’è l’interesse, i diritti delle persone non sono al centro del dibattito politico attuale; nel terzo, per i sostenitori dall’obbligo non c’è abbastanza tempo, bisogna scegliere in fretta.

E allora io dico: non siamo stanchi di mettere sempre l’etica e la bioetica all’ultimo posto nell’agenda del Paese e poi ritrovarci a non avere lo spazio e il tempo per prendere decisioni insieme alla cittadinanza? Perché facciamo finta che questi temi non esistano fino alla notizia che scatena il panico e ci ricorda la centralità dei diritti nella vita di tutti e tutte? Il tempo di aprire finalmente un dibattito democratico e basato su un’attenta informazione, coinvolgendo anche esperti e non solo politici con slogan da stadio, forse è arrivato. Anche nel bel mezzo della pandemia.

Se non altro, facciamo tesoro di questa esperienza e appena sarà finita corriamo ai ripari: è indispensabile che si parli in fretta di obbligatorietà vaccinale, di eutanasia e di tutto ciò che ruota intorno alla salute dei cittadini, per non trovarci la prossima volta – sperando non ci sarà – a dover ridiscutere tutto da capo, con le stesse domande e senza le risposte.