Giustizia & Impunità

Omicidio Maurizio Pozzi, assolta la figlia. Ma il tribunale la condanna a 4 anni: “Fu lei a ordinare di pestare il padre 3 anni prima”

Il commerciante, 69 anni, fu ucciso nella sua casa di Affori, a Milano, 5 anni fa. Nel 2013 aveva subito un violento pestaggio a Bergamo su mandato della figlia Simona, condannata oggi per lesioni a 4 anni. La Procura di Milano aveva chiesto l'ergastolo, probabile il ricorso in appello

Assolta “per non avere commesso il fatto” dall’accusa di essere stata la mandante dell’omicidio del padre nel 2016 a Milano. Ma condannata a 4 anni in quanto mandante di un episodio di lesioni ai danni del genitore avvenuto tre anni prima a Piazzatorre (Bergamo). Si tratta di Simona Pozzi, 47 anni, figlia di Maurizio Pozzi, 69 anni, storico commerciante di scarpe nel quartiere di Affori, a Milano, che fu ucciso il 5 febbraio 2016 nella sua casa in via Carli, dove era stato trovato in fin di vita dalla moglie. Pozzi morì un paio d’ore dopo il ricovero per le gravi ferite al cranio, secondo l’accusa inferte con otto martellate, tre particolarmente violente. A decidere la sentenza con rito abbreviato è stata la gup di Milano Alessandra Del Corvo. La Procura di Milano aveva chiesto l’ergastolo.

Per il pestaggio di Maurizio Pozzi, avvenuto nel 2013, era già stato condannato a Bergamo Pasquale Tallarico, pregiudicato milanese che si era autoaccusato e aveva indicato Simona Pozzi come mandante. La donna era accusata di aver già dato mandato in questa occasione di ammazzare il padre che aveva subito un violento pestaggio. Oggi quest’accusa è stata riqualificata dal gup da tentato omicidio in lesioni. La donna, difesa dagli avvocati Filippo Carimati e Franco Silva, è rimasta sempre libera in questi anni. Nell’aprile del 2019, il tribunale del Riesame di Milano aveva negato l’arresto della donna, chiesto dalla Procura, dopo che già prima un gip aveva negato la custodia in carcere e la Cassazione aveva annullato un altro provvedimento del Riesame che, invece, aveva approvato l’arresto.

Nell’indagine dei pm Antonia Pavan e Alberto Nobili, gli investigatori della Squadra mobile avevano ricostruito che Simona Pozzi aveva dilapidato in pochi anni circa 800mila euro del patrimonio familiare. La donna aveva le chiavi della casa dove è stato trovato il corpo del padre. Inoltre ha continuato a gestire il negozio del padre. Secondo la difesa, Pozzi “non avrebbe ricavato alcun vantaggio economico dall’uccisione del padre. Peraltro tra i due c’era un rapporto di affetto – avevano spiegato i legali – Testimoniato anche dal fatto che andavano a pranzo insieme tutti i giorni. Hanno avuto qualche litigio, ma come accade in tutte le famiglie”. I legali si sono detti “soddisfatti” del verdetto e la donna si è detta “sollevata, perché la richiesta di ergastolo era stata pesante da elaborare”. I difensori hanno spiegato che Simona Pozzi punta “all’assoluzione piena anche dall’accusa di lesioni” e per questo sicuramente la difesa farà ricorso in appello. Probabile anche il ricorso della Procura contro l’assoluzione per l’omicidio.