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Trump, il golpe preterintenzionale e i possibili rimedi. Io ne suggerisco tre

Quando ha cercato di convincere i suoi followers a ritirarsi dal Campidoglio, Donald Trump ha dovuto ricordare che “loro” – i repubblicani? I Proud Boys? QAnon? – erano pur sempre il partito della legge e dell’ordine (Law & Order). E meno male: pensate fossero stati il partito dello Sturm und Drang.

Il problema è: questo golpe preterintenzionale – un presidente sconfitto che non solo non lo ammette, ma proprio non lo capisce, e invita i suoi seguaci a marciare sul Parlamento – passerà impunito? Passerà definitivamente l’idea, già ampiamente diffusa, che, proprio come su internet, in politica si può impunemente dire e fare di tutto? Qui elenco alcuni possibili rimedi: ma avverto che non ce n’è uno che non sia peggiore del male.

Primo rimedio: togliere a Trump la famosa valigetta nucleare, altrimenti nelle sue condizioni psichiche attuali potrebbe mettersi a premere bottoni a caso. Lo ha proposto la presidente democratica della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, e va bene, ma sembra più un contributo all’ulteriore sputtanamento di Trump, come se ce ne fosse ancora bisogno, che una soluzione seria.

Fra l’altro, la valigetta non contiene nessun bottone rosso ma dei codici e un libro d’istruzioni di settantacinque pagine. Ce lo vedete the Donald che legge tutta quella roba, per la prima volta nella vita? Passi distruggere il pianeta, ma mettersi a studiare no, quello è troppo anche per lui.

Secondo rimedio: attivare la procedura di cui al venticinquesimo emendamento della Costituzione federale, prevista per casi in cui il Presidente subisce attentati oppure è sottoposto a operazioni. Metà del governo e il vicepresidente dovrebbero testimoniare che il Presidente è fuori di testa, come se non fosse chiaro sin dall’inizio, lui si opporrebbe e a quel punto toccherebbe al Congresso votare a maggioranza dei due terzi, compresi i repubblicani che vogliono tenersi stretti i famosi settantaquattro milioni di elettori. A occhio, direi che, quanto a condizioni psichiche, bisognerebbe pensare piuttosto a questi ultimi, con terapie adeguate. Ma la sanità Usa non riesce a farcela neppure con il Covid, figurarsi con la paranoia.

Terzo rimedio: il buon vecchio impeachment, fra l’altro già provato una volta con questo Presidente, una cosa da guiness dei primati, anche nel senso delle scimmie. Pare che vari parlamentari democratici si stiano già muovendo in questo senso, e almeno non gli si può rimproverare che tanto Trump il venti gennaio deve sgombrare la Casa Bianca, sicché “a nemico che fugge, ponti d’oro”.

Infatti, l’eventuale processo – uno dei tanti cui the Donald ha cercato di sfuggire aggrappandosi alla poltrona – continuerebbe dopo, e magari impedirebbe al condannato di ricandidarsi fra quattro anni. Qui però è lo stesso nuovo presidente, Joe Biden, che non ci sente da quest’orecchio. La sua opinione è che in un paese così spaccato processare il presidente sconfitto non sarebbe una buona idea: e dategli torto. Benché, sino a quando la politica si farà sui social, a base di complottismo e polarizzazione, neppure John Fitzgerald Kennedy Junior redivivo – uno dei tanti miti di QAnon – riuscirebbe a fare o’ miracolo.

A proposito, e per concludere: va a finire che l’unica soluzione seria è quella di Twitter e di Facebook di togliergli l’account, a the Donald, prima che ricominci a usarlo per fare danni peggiori. Già sento l’obiezione, particolarmente vivace negli Usa, dove la rete s’è sviluppata sotto l’ala protettiva del Primo emendamento, che garantisce la libertà di espressione in modo quasi illimitato: chi si credono di essere, Mark Zuckerberg e soci, per togliere la parola al Presidente degli Stati Uniti?

Al punto che mi trovo costretto a contraddire parzialmente una tesi che sostengo da sempre, ossia che internet andrebbe regolamentato pubblicamente, e che quindi decisioni simili dovrebbero prenderle autorità pubbliche, non dei Ceo privati. Lo penso ancora, ma sinché questo non avverrà, e a occhio non sarà domattina, per ora possiamo ancora contare sul Dna libertario degli ex fricchettoni della Silicon Valley per bilanciare i poteri pubblici.

Il vero casino, semmai, scoppierà quando arriverà la seconda generazione di padroni di internet, quelli che con i social ci faranno solo e dichiaratamente i soldi. Allora, nulla impedirà ai capitalisti del digitale di mettersi d’accordo con il golpista di turno, come del resto hanno già fatto anche Zuckerberg e soci fuori dall’Occidente, con la Russia e la Cina… In quel caso auguri, Internet ucciderà davvero la democrazia, sinora ha solo scherzato.