Politica

Il governo e la pre-crisi che non si sblocca. La mossa di Gualtieri: nel Recovery 18 miliardi a sanità. Pd: “Ripartire con patto di legislatura”

LA GIORNATA - Al settimo giorno di attesa resta ancora solo uno "stallo alla messicana" da western dove solo uno dei quattro partiti di maggioranza è sempre armato, quello di Renzi. Manca non solo un accordo tra gli alleati, ma anche un qualche incontro risolutivo. Intanto il ministro dell'Economia dà una prima risposta a Italia Viva con la nuova versione del piano di recupero che nel giorno dell'Epifania sarà sul tavolo di Conte. Dal Quirinale si registra una "crescente preoccupazione" e l'orientamento in caso di caduta dell'esecutivo è quello di sciogliere le Camere e tornare alle elezioni

Ormai l’attesa per questa eventuale crisi di governo è estenuante: è l’attesa che accada almeno qualcosa. Una riunione-fiume, qualche urlo da dietro una parete, una telefonata, un faccia a faccia, una porta che sbatte: niente. Lo stato di pre-crisi dentro il governo sembra uno stato di pre-coma: è congelato alle parole, alle posizioni, alle “maschere” che ormai conoscono tutti, ripetute e rimpastate che danno il risultato di vedere questo continuo gioco di ruolo scendere ogni giorno di una posizione nell’agenda dei giornali (e figurarsi in quella dell’opinione pubblica). Questo limbo che dovrebbe portare all’apertura di una crisi ufficiale o in alternativa a un nuovo patto di maggioranza per raggiungere, sia pure basculanti, il 2023 raggiunge il settimo giorno che produce una giornata di silenzio. C’era stata un’unica eccezione e non è difficile capire quale: Matteo Renzi, nella sua newsletter, aveva rifatto la consueta lista della spesa sulla quale evidentemente il restante 90 per cento della maggioranza avrebbe diritto a una sola risposta, il sì. Il solito minestrone con “problemi anche seri”, ma tutti mescolati: il Recovery plan, certo, che all’inizio di questa storia sembrava l’unico problema, e poi il Mes, e poi la delega ai Servizi e poi il reddito di cittadinanza, e poi l’alta velocità, e poi il garantismo, e poi la presenza nel Mediterraneo, e poi il rapporto con gli Stati Uniti… “Il problema con Conte è politico” ha sintetizzato. Il silenzio a cui era stato restituito grazie alla mancanza di repliche sembrava far immaginare finalmente che le diplomazie dei quattro partiti su cui si regge il Conte 2 si fossero messe al lavoro. E invece quando intorno all’ora di cena il vicesegretario del Pd Andrea Orlando ha provato a imbastire con Fanpage un ragionamento del tutto simile a quello di Renzi la sera prima su Rete 4 da Porro (in sintesi: se c’è la volontà politica le formule di rimpasti e assetti si trovano), il presidente del partito di Renzi, Ettore Rosato, ha scelto di rispondere sull’unica cosa che divide di sicuro le forze di maggioranza. Orlando ha ripetuto infatti che per il Pd l’unica strada alternativa a questa maggioranza è tornare alle elezioni. Rosato, che alle elezioni verosimilmente faticherebbe a trovare i voti per tornare in Parlamento, gli ha risposto piccato: “Orlando vuole andare a votare perché per lui stare all’opposizione di Salvini è meglio che stare al governo con Renzi”.

Il “nuovo” recovery plan: 18 miliardi alla sanità
Insomma, visto che quando si tratta di crisi di governo si fa riferimento alle condizioni meteomarine si può dire che se nella serata di lunedì sembrava esserci stata una schiarita che avrebbe portato tutto questo can can a un rimpastino con lo spostamento di tre o quattro sedie, ventiquattro ore dopo le nubi si sono addensate di nuovo sopra al tetto di Palazzo Chigi, sul quale torna il mirino dell’ex inquilino. Orlando nella sua intervista a Fanpage ha provato a rispondere al “problema politico” di cui parlava Renzi, mettendo sul tavolo un patto di legislatura che stabilisca non solo “cosa fare” da qui al 2023, ma anche “in che ordine“. Insomma, un aggiornamento del programma di governo elaborato nelle settimane successiva alla crisi del Papeete. Ma ora sullo stesso tavolo arriva anche una risposta nel merito: come racconta un’Ansa a tarda sera, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri nella mattinata del giorno dell’Epifania consegnerà al presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’aggiornamento del Recovery plan. E tra i progetti che sono stati maggiormente “nutriti” ci sono in particolare quelli per la sanità: fino a un totale che sfiorerebbe i 18 miliardi, con potenziamenti anche per infrastrutture sociali, istruzione, cultura. “Razionalmente credo ci siano tutte le condizioni” per una soluzione, scommette Orlando. Ma “bisogna vedere se prevale la razionalità” si riprende subito.

Lo stallo alla messicana (ma solo uno è sempre armato)
Qui sta il punto: il segnale dato ieri dai vertici di Pd e M5s (Nicola Zingaretti da una parte e Vito Crimi e Alfonso Bonafede dall’altra) è stato un piccolo tracciato, lasciato cadere da Italia Viva. Qual è dunque la strada che porta al piano di recupero della maggioranza? La soluzione del “rimpastino” sembra non valere già più, durato dalla sera alla mattina. Conte, in silenzio dal giorno della conferenza stampa quando aveva promesso un passaggio trasparente in Parlamento (“Come ho sempre fatto”), non vorrebbe passare dalle sue dimissioni perché si sa come comincia, ma non si sa come finisce, motto che vale doppio quando è coinvolto Renzi. Ad ora un accordo tra gli alleati per arrivare a un dai e vai con dimissioni, nuovo incarico e nuovo passaggio di Conte alle Camere non esiste. Tutto ha le fattezze di uno stallo alla messicana dei film western, dove però quello sempre armato è soltanto uno dei quattro soci di governo. Se infatti non esistono, per quanto è dato sapere, momenti di confronto tra gli esponenti delle forze politiche, è invece davanti agli occhi di tutti che in pubblico i renziani, e più di tutti il loro leader, non facciano altro che trovare pretesti per poter litigare, su chi, cosa e come è sempre un dettaglio.

La “crescente preoccupazione” del Quirinale. “Se cade il governo, vede solo le elezioni”
Mentre al Nazareno è al lavoro una specie di unità di crisi (con Zingaretti che riunisce i dirigenti nazionali e Orlando quelli regionali), questa specie di spettacolo avviene sotto lo sguardo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che giusto cinque giorni fa aveva parlato del “tempo dei costruttori”. E invece ora si trova a vivere questi giorni, secondo l’espressione dell’agenzia Ansa con “crescente preoccupazione”. Dal Quirinale si conferma l’orientamento che già era stato registrato nelle settimane scorse: un rimpasto e un Conte 3 ci può stare. Ma nessun tentativo con governi che si appoggiano su maggioranze abborracciate, di “salute pubblica”, istituzionali. Se cade il governo, in mancanza di una maggioranza solida, ci sono le elezioni, anche per il rispetto che il Colle osserva per la riforma costituzionale approvata dal referendum di 4 mesi fa. E’ davvero difficile chiamarli “costruttori“, ma secondo le agenzie di stampa proseguono i contatti con un’eventuale stampella parlamentare che possa neutralizzare i ricatti di Italia Viva. Lo stesso mini-partito renziano fa sapere che due suoi senatori sarebbero stati “sondati” e, fedelissimi, avrebbero girato il messaggio al capo.

L’Epifania, cos’è che si porta via?
Il giorno dell’Epifania potrebbe dare qualche risposta, sperabilmente alla domanda sul perché non sia stato ancora convocato un vertice tra i leader della maggioranza, presidente del Consiglio compreso. Di sicuro, in alternativa, il 7 è in programma il consiglio dei ministri che dovrà esaminare il Recovery plan il cui testo dovrà prima o poi finirà all’esame delle Camere, anche per il fatto che il tempo (del Recovery fund) stringe. Quello dei pizzini, nel tempo della pandemia mondiale, è già finito da un pezzo, prima ancora che questa storia cominciasse.