Cronaca Nera

Agitu Gudeta, il custode della sua azienda confessa l’omicidio: l’ha colpita con un martello e violentata mentre era agonizzante

Adams, un 32enne ghanese, ha ammesso la propria responsabilità davanti ai carabinieri e al magistrato. All'origine del gesto una lite scoppiata in casa di Agitu per uno stipendio non corrisposto: l’uomo ha quindi impugnato un martello che la vittima teneva dietro a un termosifone di casa, forse per proteggersi, colpendola con quello alla testa

L’azienda agricola “La capra felice” era il sogno della sua speranza di libertà e di integrazione culturale, ma è diventato il luogo dove Agitu Gudeta Idea, etiope, ha trovato una fine orribile. L’1 gennaio avrebbe compiuto 43 anni. È stata trovata in camera da letto, con la testa fracassata a colpi di martello nell’ex canonica di Plankerhoff, a Frassilongo, nella vallata trentina dei Mocheni, una laterale della Valsugana. Per l’omicidio è stato interrogato a lungo, e poi fermato, Adams Suleimani, un 32enne ghanese a cui lei aveva dato lavoro e che era diventato il custode dell’azienda. Rintracciato nella notte in una stalla dell’azienda nella quale si era rifugiato, ha ammesso la propria responsabilità davanti ai carabinieri e al magistrato. All’origine del gesto una lite per ragioni economiche, scoppiata in casa di Agitu per uno stipendio non corrisposto: l’uomo ha quindi impugnato un martello che la vittima teneva dietro a un termosifone di casa, forse per proteggersi, colpendola con quello alla testa più volte fino a lasciarla a terra, senza vita, dove è stata poi trovata nel pomeriggio da una coppia di vicini. Quindi ha aggiunto un particolare agghiacciante: mentre Agitu era agonizzante a terra l’ha violentata.

Agitu aveva trovato in Trentino la sua seconda patria dopo essere fuggita dall’Etiopia dove era stata minacciata e inquisita per l’impegno contro il “land grabbing”, ovvero la razzia di terre dei pastori da parte delle multinazionali. Ma anche in Italia aveva dovuto confrontarsi con violenze, diffidenze e problemi di integrazione. “Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto” aveva denunciato. Un pastore della zona è stato condannato un anno fa a 9 mesi di reclusione per lesioni nei suoi confronti, ma assolto dall’accusa di stalking aggravato dall’odio razziale. Ed è stato proprio l’uomo uno dei primi ad essere interrogato nella caserma dei carabinieri di Borgo Valsugana, dopo la scoperta del corpo da parte di una vicina, che era entrata in casa perchè insospettita dal fatto che Agitu non si fosse presentata all’appuntamento con un geometra, assieme al quale avrebbe dovuto discutere il progetto di ampliamento dell’azienda agricola. Ma il pastore italiano ha potuto chiarire la propria estraneità all’omicidio. Poi, tramite l’avvocato Claudio Tasin, ha rilasciato una dichiarazione: “E’ una tragedia. Non c’è giustificazione per quanto accaduto e lo dico nonostante la mia esperienza personale”.

A Plankerhoff si è recato anche il sostituto procuratore Giovanni Benelli che coordina l’inchiesta per omicidio volontario assieme al procuratore Sandro Raimondi. L’omicidio della donna etiope ha suscitato una forte emozione in Trentino, dove era diventata un simbolo, non solo per la sua fuga dall’Africa, ma anche per il progetto di recupero ambientale e produttivo che aveva sviluppato, a partire dalla capra mochena, che la Provincia di Trento aveva deciso di salvare alcuni anni fa. Agitu aveva realizzato un’attività molto apprezzata e aveva recentemente aperto a Trento un punto vendita dei prodotti derivati dalle capre e dall’agricoltura biologica. Inoltre aveva coltivato una attività culturale di conoscenza e promozione delle proprie tradizioni. Era nata e cresciuta ad Addis Abeba l’1 gennaio 1978, sotto il regime di Menghistu. Terminati gli studi, era arrivata in Italia dove si era iscritta alla facoltà di Sociologia di Trento, laureandosi con una tesi sull’economia rurale dei Paesi in via di sviluppo. Era poi tornata in Etiopia per seguire un progetto di cooperazione con la tribù dei Boran, pastori nomadi che vivono con capre e cammelli. Nel 2010 era tornata a Trento come rifugiata e si era impegnata nel salvataggio della capra mochena in via di estinzione.

Sul proprio profilo Facebook aveva recentemente scritto: “Buon Natale a te che vieni dal sud, buon Natale a te che vieni dal nord, buon Natale a te che vieni dal mare, buon Natale per una nuova visione e consapevolezza nei nostri cuori”. “Il dolore per la perdita di Agitu Ideo Gudeta è immenso” commenta Lucia Coppola dei Verdi del Trentino. “Era una donna libera e intelligente, sapiente e forte. Coraggiosa e piena di energia vitale e positività. La sua morte è una sconfitta per il nostro Trentino, terra di accoglienza e rispetto. Il dolore e la disperazione ci fanno stringere il cuore. Si è spento un sorriso, il sole luminoso d’Africa. La potenza e la forza di una persona speciale. L’amore per la terra e gli animali. L’incontro di culture, l’ intelligenza dei saperi materiali, unita a quella dello spirito. Una sensibilità straordinaria e tanta bellezza. Il nostro cuore, il cuore di tante donne e uomini di buona volontà batte per lei. E trema e soffre per questa immensa ingiustizia”.

Un paio di mesi fa Agitu aveva ricevuto la Bandiera verde di Legambiente, per la “determinazione e passione nel portare avanti un’importante esempio di difesa del territorio, di imprenditoria sostenibile e di integrazione”.