Cronaca

Stretta di Natale, ecco su cosa si è diviso il Cts nel parere da mandare al governo: in tre volevano indicazioni per ristoranti e mobilità

Il verbale della riunione sul quale si baseranno le riunioni del governo non è stato firmato da Achille Iachino (direttore generale dei Dispositivi medici e del servizio farmaceutico), Giovanni Rezza (dg della Prevenzione) e Andrea Urbani (dg della Programmazione). Alla base del 'no' ci sarebbe un report Inail-Iss-Fondazione Bruno Kessler che analizza l’impatto delle misure contenitive adottate a partire dal 1 ottobre nelle varie regioni

Più controlli per garantire il rispetto delle norme anti-Covid già in vigore e più misure atte a ridurre gli aggregamenti incontrollati. Senza però specificare quali norme e per quali territori. E senza fare riferimento alcuno alla possibilità di un lockdown natalizio. È quanto il Comitato tecnico scientifico si è limitato a raccomandare al governo nel verbale dell’ultima seduta relativa ai giorni 14 e 15 dicembre, per contenere i contagi durante le imminenti festività.

Indicazioni “soft” considerando l’epidemia che continua a galoppare in tutto il Paese. Ritenute non solo troppo generiche e poco operative, ma anche insufficienti e indifferenti rispetto alle evidenze scientifiche dai tre direttori del ministero della Salute, Achille Iachino (direttore generale dei Dispositivi medici e del servizio farmaceutico), Giovanni Rezza (dg della Prevenzione) e Andrea Urbani (dg della Programmazione), che si sono rifiutati di firmare il verbale inviato al governo.

Tra le evidenze scientifiche che il team di esperti guidato da Agostino Miozzo ha sul tavolo ma in qualche maniera – vista la spaccatura – avrebbe deciso di non considerare c’è quella contenuta nello studio datato 1 dicembre 2020 e curato da Inail, Istituto superiore di sanità e Fondazione Kessler, che analizza l’impatto delle misure contenitive adottate a partire dal 1 ottobre fino al 23 novembre nelle varie regioni.

Oltre all’uso delle mascherine, alla chiusura delle scuole di secondo ciclo, al divieto di feste e cerimonie e alle restrizioni nelle attività sportive, hanno dimostrato un significativo impatto sulla riduzione della trasmissibilità del virus anche le limitazioni degli spostamenti e delle attività ristorative. Il Cts tuttavia non si sbilancia più di tanto e suggerisce di considerare quanto previsto in particolare dal Dpcm del 3 dicembre scorso, sottolineando l’opportunità di una modulazione rispetto alla tempistica e alla durata dei provvedimenti che verranno implementati, alla tipologia di restrizioni specifiche e all’applicazione territoriale. Detta così, in buona sostanza, sembrerebbe che il Comitato di esperti possa anche accontentarsi di una chiusura anticipata di bar e ristoranti alle 17 e di un coprifuoco che inizi alle 21.

Ma questo potrebbe bastare a evitare la terza ondata dopo le feste di Natale? Per chi ha deciso di non sottoscrivere il verbale no, a quanto pare. A supporto della tesi dei non firmatari c’è la decisione presa dalla Germania il 13 dicembre, quando l’incidenza di nuovi casi per 100mila abitanti nell’ultima settimana era più bassa di quella registrata in Italia (259 contro 273): far scattare un lockdown duro dallo scorso mercoledì fino al 10 gennaio. La soglia minima di rischio, superata la quale salta il controllo delle infezioni sul territorio, è di 50 casi ogni 100mila abitanti alla settimana. Cioè circa 5-6mila casi al giorno.

Questo è l’obiettivo da raggiungere durante le feste di Natale per abbattere la curva dei contagi, come ha ricordato il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro. L’Italia ha anche superato la soglia critica del tasso di occupazione delle terapie intensive per i pazienti Covid fissato dall’Iss al 30 per cento: oggi il valore è al 34 per cento. Il serio timore dunque è che se non si entra subito in zona rossa almeno fino all’Epifania, si ripeta lo stesso errore di Ferragosto e a fine gennaio ci si ritrovi, questo è il timore, con 50mila nuovi Covid positivi al giorno.