Cronaca

Smartphone, il Covid peggiora la dipendenza dei giovanissimi. “Dal lockdown aumentate le segnalazioni. Alcuni dormono in streaming”

Il 79% di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 18 anni attiva il telefono anche 120 volte, dedicando più di quattro ore al giorno, 120 ore al mese. Ad ammetterlo sono loro stessi, rispondendo a un questionario dell'associazione Movimento Etico Digitale. Una dipendenza che spesso li rende aggressivi. "Dopo il lockdown sempre più segnalazioni di figli che si isolano, preferendo le facili relazioni online", avverte l'associazione, che racconta l'Italia dei "supereroi fragili"

Due interi mesi all’anno. Tanto è il tempo che i giovani passano con la faccia rivolta allo smartphone. Il 79% di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 18 anni lo attiva anche 120 volte, dedicando più di quattro ore al giorno, 120 ore al mese. A restituire questi numeri è un questionario sulla dipendenza digitale proposto agli oltre duemila adolescenti che l’associazione no-profit Movimento Etico Digitale ha incontrato durante i recenti appuntamenti nelle scuole di tutta Italia sui rischi della vita online. “Ma il Covid sta peggiorando ancora la situazione”, spiega Gregorio Ceccone, formatore e referente dell’Osservatorio scientifico dell’associazione. “Dopo il lockdown sono aumentati i genitori che ci segnalano la preferenza dei figli per le relazioni online e la tendenza all’isolamento. Serve il dialogo, e alcune buone pratiche da introdurre in famiglia”.

È vero, con le restrizioni dovute al Covid e la didattica a distanza, smartphone e social network hanno permesso ai giovani di rimanere in contatto e di sentirsi meno soli. Ma non senza un prezzo da pagare, a partire dalla parcellizzazione dell’attenzione legata all’utilizzo dello strumento, che abbassa la soglia della concentrazione e porta disturbi del sonno. “E molti non staccano nemmeno di notte. Ci sono giovani che dormono in diretta streaming, per permettere ai follower di “dormire con loro””, racconta Ceccone. Ma c’è di peggio. Sempre più spesso l’eccessivo attaccamento è smascherato da episodi di aggressività quando viene sottratto lo strumento. O dal sacrificio di altre attività, che man mano vengono abbandonate. “Segnali preliminari di un isolamento che i social network favoriscono, offrendo una relazionalità semplice, meno faticosa e molto più diretta ed estesa”, chiarisce il coordinatore dei volontari che portano l’educazione civica digitale nelle scuole, iniziativa che l’associazione invita a sostenere attraverso una campagna di crowdfunding. “Negli interventi formativi che organizziamo abbiamo incontrato 35mila studenti e più di 15mila adulti”, racconta Ceccone. Che insiste sul dialogo all’interno delle famiglie: “Dobbiamo sviluppare consapevolezza e nuove competenze per aiutare i nostri figli: l’apprendimento autonomo di questi strumenti è sbagliato”. E rischioso: “Salta la palestra empatica tipica dell’adolescenza, in cui confrontarsi e scontrarsi per sviluppare una relazionalità matura”, continua Ceccone. Le conseguenze? “Devo spiegare ai ragazzi che a un colloquio di lavoro dovranno stringere una mano per presentarsi e guardare negli occhi l’interlocutore, perché per loro non è scontato e molti esprimono disagio alla sola idea”

Supereroi fragili”, è la definizione che usa Ceccone. In un mondo illusorio dove fuggire dalla pressione sociale e dalle aspettative dei genitori, della scuola, dei modelli che vengono loro proposti. Quelli che decidono di trasformare le pareti di casa in una gabbia li chiamano hikikomori. È il nome di un fenomeno inizialmente emerso in Giappone e in crescita in tutto l’occidente. “L’impatto della pandemia sugli isolati sociali volontari rischia di rivelarsi molto negativo, con un sostanziale aumento dei casi e un aggravarsi di quelli già esistenti”, ha scritto recentemente il presidente dell’associazione Hikikomori Italia, lo psicologo Marco Crepaldi. E allora, magari approfittando dello smartworking e della didattica a distanza che moltiplicano per tutti le ore tra le mura di casa, “è tempo di attivare il dialogo tra genitori e figli sull’utilizzo dei social e dello smartphone”, rilancia Ceccone, conscio che per i più sarebbe la prima volta. “Una ragazza di seconda media mi ha raccontato di aver neutralizzato da sola un malintenzionato che l’aveva contattata su Instagram. Poi ha aggiunto che ero il primo adulto con cui ne parlava, per paura di spaventare i genitori o magari di essere punita”. Ceccone avverte: “Un atteggiamento allarmato può allontanare i figli, meglio costruire insieme una strategia e darsi delle regole di utilizzo, costruite sul dialogo e valide per tutti”.

Che fare se i nostri figli passano più di due ore al giorno in Rete? “Parlare con loro, domandare cosa fanno durante quelle ore, quali piattaforme usano, tenendo conto delle loro opinioni con sincera curiosità”, è la risposta del formatore del Movimento Etico Digitale. Ma non basta. “Gli stessi smartphone ci offrono strumenti per tenere il conto del tempo di utilizzo e per impostare dei limiti”, spiega Ceccone, e suggerisce di disabilitare subito tutte le notifiche. Terza regola? Il “digital detox, che consiste nel creare momenti e definire spazi in cui non dobbiamo essere connessi”. E avverte: “Anche noi adulti siamo pieni di abitudini digitali, a volte cattive e dure a morire. Se vogliamo che funzioni, dobbiamo metterle in discussione”