Cronaca

Covid e morti, “differenze di quasi 5 volte tra una regione e l’altra”: la letalità più alta in Lombardia (5,4%), ai minimi in Campania

L’analisi dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni dell’Università Cattolica mette in luce una "estrema variabilità nella letalità" che si registra in Italia e anche in Europa. Anche la mortalità (rapporto tra decessi e popolazione) può variare di molto a parità di contagi. E la quota di anziani nella popolazione "spiega solo in parte questa diversità"

Il Covid-19 non uccide nello stesso modo nelle diverse Regioni italiane. La letalità, il rapporto tra i morti e i positivi, va infatti da un massimo del 5,4% in Lombardia a un minimo dell’1,3% in Campania, “con una differenza di quasi 5 volte tra una regione e l’altra”. E questa “estrema variabilità nella letalità” si registra anche guardando i dati di paesi europei. È quanto emerge dall’analisi dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni dell’Università Cattolica, che mette in luce come la quota di anziani nella popolazione “spieghi solo in parte questa diversità”. A pesare, infatti, sono diversi fattori e non ultima “l’imprecisione con cui vengono registrati i contagi e il loro tracciamento”.

Dall’inizio della pandemia al 14 dicembre nel nostro Paese si sono registrati 65.011 decessi, con un rapporto tra morti e contagi (letalità) che si attesta al 3,5%. Di questi 23.877, ovvero il 36,7%, sono avvenuti in Lombardia. Altri 7.136 in Piemonte (11%) e 6.645 Emilia-Romagna pari al 10,2%. Analizzando i dati dal 12 ottobre al 6 dicembre, lo studio evidenzia che anche i livelli di mortalità (rapporto tra decessi e popolazione) per Covid-19 nelle Regioni italiane variano sensibilmente, a parità di prevalenza dei nuovi contagi e indipendentemente dalla struttura per età della popolazione residente.

La riflessione si fonda sull’andamento dei morti, registrati nell’arco di due settimane, in relazione ai contagi nelle due settimane precedenti, per tener presente lo sfasamento temporale tra la diagnosi e il decesso. Dal 23 novembre al 6 dicembre la Valle d’Aosta è la Regione con la mortalità più alta: 3,11 decessi per 10.000 abitanti, a fronte di un tasso di contagi nei 14 giorni precedenti pari a 150,4 per 10.000 abitanti. La Provincia di Bolzano, con un numero quasi analogo di contagi, ha 1,94 decessi ogni 10.000 abitanti. L’elevata mortalità si registra anche in Friuli-Venezia Giulia: a fronte di 82 contagi ogni 10.000 abitanti, c’è un tasso di decessi di 2,82 per 10.000, molto elevato se confrontato con quello del Veneto (88,5 contagi e 1,87 decessi ogni 10.000 abitanti) e della Toscana (85,3 contagi e 1,51 decessi ogni 10.000 abitanti).

“La variabilità osservata tra regioni italiane si riscontra anche tra i Paesi europei”, commenta Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio. Dall’inizio della crisi sanitaria, il numero più elevato di contagi in rapporto a 10.000 residenti si registra in Lussemburgo (626,8), seguito da Repubblica Ceca e Slovacchia (522,9) e Belgio (519,0). La mortalità più alta si riscontra in Belgio (15,3 per 10.000 residenti), Italia (10,15) e Spagna (9,9) ma non è direttamente correlata all’anzianità della popolazione. Quanto alla letalità tra paesi con la quota di anziani più elevata varia da 1,3% della Lettonia a 3,1% della Bulgaria. Nei Paesi con la più bassa percentuale di anziani, varia da 0,5% registrata a Cipro a 3,5% rilevata in Gran Bretagna. Sarà importante stabilire, precisa Solipaca, “quali fattori hanno condizionato gli effetti della pandemia sulla popolazione: aggressività del virus, performance dei Sistemi Sanitari o dati incompleti a causa del sistema di tracciamento”.

I casi di coronavirus notificati, infatti, “sono soltanto la punta dell’iceberg” e “i morti crescono in una maniera impressionante”, precisa Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene all’Università Cattolica, direttore dell’Osservatorio. “Abbiamo avuto 36.000 decessi nella prima fase” e nelle seconda fase “se continua questo trend – mette in guardia – arriveremo a 40.000 entro febbraio-marzo”. “L’allentamento dell’attenzione ha favorito i contagi nel periodo estivo soprattutto tra i giovani e questo ha rinfocolato e, probabilmente, anticipato la seconda fase della pandemia . Si è trattato di un errore – prosegue Ricciardi – che ha coinvolto nella pandemia anche le Regioni del Sud Italia, già in difficoltà con i loro Sistemi Sanitari e che nella prima fase erano state solo sfiorate dall’emergenza sanitaria. La riapertura delle scuole, ancorché doverosa, e l’allentamento delle restrizioni alla circolazione hanno amplificato la diffusione dei contagi”.