Scienza

Svelato il motore che accende le stelle, “per la prima volta sappiamo come e perché brillano”

È stato possibile grazie ai neutrini, le particelle capaci di attraversare la materia e che dal cuore del Sole hanno raggiunto il rivelatore dell’esperimento internazionale Borexino, nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Il risultato, che ha conquistato la copertina della rivista Nature "è di valore storico", rileva l’Infn

La vediamo brillare lassù nel cielo la nostra stella, il Sole, e chissà quante volte ci siamo chiesti perché quella luce e quel calore arrivano a noi. Ecco ora è stato trovato il motore che fa brillare le stelle nell’universo, soprattutto quelle che hanno una massa maggiore rispetto a quella del Sole e che sono le più numerose. È stato possibile grazie ai neutrini, le particelle capaci di attraversare la materia e che dal cuore del Sole hanno raggiunto il rivelatore dell’esperimento internazionale Borexino, nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Il risultato, che ha conquistato la copertina della rivista Nature “è di valore storico”, rileva l’Infn.

“Per la prima volta sappiamo come e perché le stelle brillano”, ha detto all’Ansa il papà dell’esperimento Borexino, Gianpaolo Bellini, dell’Università di Milano e ricercatore dell’Infn. Borexino è un esperimento che parla italiano, con un contributo dell’università di Princeton e il cui principale finanziatore è l’Infn, con l’americana National Science Foundation (Nsf) e alcune agenzie tedesche.

Circa tre anni fa le misure dei neutrini solari avevano dato un quadro completo delle reazioni di fusione nucleare fra protoni che avvengono nel Sole e che producono il 99% dell’energia solare. “Sono le reazioni che producono nel Sole temperature fino a un milione mezzo di gradi e che impediscono alla nostra stella di implodere”. Restava da scoprire l’origine del restante 1% dell’energia, generato da reazioni fra carbonio-azoto-ossigeno (Cno), ed è quello che è riuscito a vedere oggi l’esperimento. Se per il Sole questo ciclo ha un ruolo secondario, nelle stelle di grande massa è il più diffuso.

Questa scoperta “è il coronamento di 30 anni di lavoro vero condotto da una collaborazione internazionale di centinaia di scienziati, tecnologi e tecnici a guida italiana che è stata capace di sviluppare una tecnologia unica e costruire il rivelatore di neutrini solari più sensibile al mondo” afferma, intervistato dall’Adnkronos, il fisico Marco Pallavicini, co-portavoce dell’esperimento Borexino.
“E questo – sottolinea lo scienziato – perché per poter osservare i neutrini solari con la sensibilità necessaria a vedere il ciclo Cno è stato necessario realizzare il rivelatore Borexino con la sostanza meno radioattiva che sia mai stata prodotta sulla Terra”. “Questo fatto, insieme alla schermatura offerta naturalmente dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso, ha consentito questo fondamentale risultato che dice molto delle capacità della ricerca italiana” scandisce ancora Pallavicini, professore ordinario al Dipartimento di Fisica dell’Università di Genova e nella Giunta Esecutiva dell’Infn.

I ricercatori evidenziano che misurare i neutrini del ciclo Cno è stata un’impresa complicata che ha richiesto un grande sforzo sia di hardware sia di software. “Nonostante i successi eccezionali ottenuti e un rivelatore già ultrapuro, – spiega Gioacchino Ranucci, ricercatore della sezione Infn di Milano, attuale co-portavoce di Borexino – abbiamo dovuto impegnarci molto per migliorare ulteriormente la soppressione e la comprensione del bassissimo fondo residuo, in modo da riuscire a identificare i neutrini del ciclo Cno”. “La rivelazione dei neutrini prodotti nel ciclo Cno annunciata da Borexino è il coronamento di uno sforzo incessante, durato anni, che ci ha portato a spingere la tecnologia a scintillazione liquida oltre ogni limite precedentemente raggiunto, e a fare del cuore di Borexino il luogo meno radioattivo del mondo” aggiunge ancora Pallavicini.

La scoperta annunciata oggi racconta una storia lunga 80 anni. L’esistenza del ciclo Cno fu teorizzata per la prima volta nel 1938, quando gli scienziati Hans Bethe e Carl Friedrich von Weizsäcker proposero, indipendentemente, che la fusione dell’idrogeno nelle stelle potesse anche essere catalizzata dai nuclei pesanti carbonio, azoto e ossigeno, in una sequenza ciclica di reazioni nucleari, oltre a procedere secondo la sequenza della catena protone-protone. Nonostante le evidenze indirette ottenute con osservazioni astronomiche e astrofisiche, la conferma sperimentale diretta dei meccanismi stellari di generazione di energia non era ancora mai stata ottenuta.

L’abstract dello studio