Cronaca

Opera d’arte esposta alla Biennale di Venezia, ora relitto che nessuno vuole: braccio di ferro sulla barca della strage di migranti

Lo scheletro della nave che affondò con 700 persone a bordo al largo della Libia è stata presentata all'edizione 2019 dell'esposizione lagunare dall'artista svizzero Christoph Büchel che la ottenne in comodato d'uso dal Comune di Augusta, dove si trovava dopo il suo recupero voluto dal governo Renzi. Ma l'amministrazione siciliana non dispone della cifra necessaria al trasporto del relitto sull'Isola

Il relitto dei migranti che nessuno vuole. Ai tempi del governo Renzi era diventato il simbolo delle tragedie in mare, al largo di Lampedusa, dopo che nel 2015 si era inabissato con a bordo più di 700 persone. Riportato in superficie, con i corpi delle vittime, è stato usato come opera d’arte da esporre alla Biennale di Venezia nel 2019. E da allora è rimasto lì, senza che nessuno decidesse di dargli una collocazione definitiva. Ora la Biennale si è rivolta alla magistratura veneziana per chiederne la rimozione, anche perché – Covid permettedo – si annuncia nel 2021 una nuova edizione dell’esposizione. E quindi l’ente culturale veneziano ha bisogno dello spazio. Ma a chi appartiene quella che venne chiamata Barca Nostra? O per lo meno, chi ne è responsabile? L’artista svizzero Christoph Büchel che ne curò l’esposizione o il Comune di Augusta in Sicilia che ne è affidatario? La Biennale è passata alle vie di fatto. E ha spiegato: “Dalla fine di novembre 2019 abbiamo più volte sollecitato l’artista e la Galleria che lo rappresenta, Hauser & Wirth, al rispetto degli impegni presi in merito alla restituzione dell’opera al legittimo proprietario, la Città di Augusta. L’opera era stata concessa all’artista in comodato d’uso per essere esposta alla Biennale Arte 2019”.

L’affondamento era avvenuto davanti alle coste libiche. Fu un caso internazionale, che divise le nazioni e suscitò feroci polemiche, scuotendo l’opinione pubblica. Praticamente la barca di 50 tonnellate, che abitualmente ospitava una ventina di persone di equipaggio e poteva trasportare una quarantina di persone, si trasformò in una bara per le centinaia di migranti che si trovavano stipati all’inverosimile. Il tentativo di salvataggio da parte di un mercantile non ebbe successo, anzi provocò una collisione. Si salvarono solo 28 persone. L’imbarcazione finì sul fondale, a 370 metri di profondità, e sembrava che lì sarebbe rimasta per sempre. Invece il governo Renzi decise il recupero, costato una decina di milioni di euro, anche per sottoporre all’esame del Dna i corpi. Ma l’operazione si rivelò in buona parte inutile, il troppo tempo sott’acqua rendeva impossibile dare una identità alle persone che erano morte tragicamente. Anche per questo esponenti del centrodestra, come Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri, attaccarono la decisione di Renzi, accusandolo di “propaganda buonista”.

Il relitto rimase in custodia nella base Nato di Melilli, vicino ad Augusta, finchè Christoph Büchel lo fece trasportare alla Biennale dove fu esposto con il titolo May you live in interesting times (“Possa tu vivere in tempi interessanti”). Un’opera di denuncia delle morti silenziose in Mediterraneo e dell’indifferenza degli Stati europei. Cosa fare ora di quel manufatto con la chiglia squarciata, alto 23 metri, che si trova su una banchina dell’Arsenale, sorretto da ponteggi in ferro? La Biennale non lo vuole. L’artista svizzero ha chiesto di usare la copertura assicurativa che tutela le opere d’arte esposte a Venezia, ma allo stesso tempo ha denunciato la ditta che lo trasportò per aver danneggiato l’imbarcazione. E quindi la causa dell’ente veneziano riguarda sia Büchel che il Comune di Augusta (che però non ha fondi per sostenere le spese di un nuovo trasporto in Sicilia).

Il governo italiano non è coinvolto nella vicenda, perché dopo il recupero dal fondo del mare (effettuato dalla ditta Fagioli e dalla Marina Militare), Barca Nostra fu piazzata in un’area di Augusta, in attesa di decidere cosa farne. Cgil, Legambiente e alcuni parroci proposero di farne un monumento alle vittime della migrazione dall’Africa verso l’Europa, da realizzare nell’area dell’ex chiesa all’aperto di Monte Tauro. Altre idee riguardavano l’esposizione addirittura in piazza Duomo a Milano o a Bruxelles, davanti alla sede dell’Unione Europea.