Cronaca

A Brescia la procura generale ha chiesto rinforzi per indagare sui morti da coronavirus. Il pg: “Grandissime difficoltà con organico ridotto”

"No ad un'altra Ustica", dicono i familiari delle vittime della Bergamasca, nel giorno in cui nel capoluogo s'insedia il nuovo procuratore generale. A margine della cerimonia, Chiappani promette: "Ricostruiremo la storia di ogni singolo decesso". Il collega di Brescia, presente all'insediamento e impegnato su un'inchiesta parallela: "Nella situazione in cui si trova il nostro distretto siamo in grandissima difficoltà"

A più di quattro mesi da quando la procura di Brescia ha aperto diversi filoni d’inchiesta sui morti da Covid-19 nella provincia, tra le più colpite per numero di decessi in rapporto alla popolazione, il procuratore generale Guido Rispoli ha lanciato l’allarme sul lavoro condotto dai pm. “Nella situazione in cui si trova l’intero nostro distretto, con organico scoperto e ridotto, siamo in grandissima difficoltà nello svolgere queste indagini. Mi vergognerò se, come Stato, non saremo in grado di fare tutti gli accertamenti per ogni caso”, ha spiegato. “Per questo ho chiesto rinforzi” in vista del carico “che ci attende”. Rispoli è intervenuto a margine della cerimonia di insediamento del collega Antonio Chiappani, nuovo procuratore generale di Bergamo. Che a sua volta ha ribadito l’intenzione della procura bergamasca nel fare luce su quello che è accaduto nelle fasi più critiche dell’emergenza, a testimonianza di come nelle due province i lavori vadano avanti in parallelo. “Ogni singolo caso andrà ricostruito. Sarà possibile dare una risposta a tutte le denunce presentate“.

È proprio quello che chiedono da mesi i membri del “Comitato Noi denunceremo” che riunisce i familiari delle vittime da coronavirus. “Non sono disposto a un’altra Ustica e ad aspettare 40 anni” per conoscere i responsabili, ha dichiarato il presidente Luca Fusco in una conferenza stampa straordinaria organizzata per presentare l’esito delle ricerche condotte in autonomia dai volontari. Un dossier che finirà nelle mani di Chiappani. Durante il suo intervento, Fusco ha puntato il dito contro il governo e la giunta Fontana, spiegando di volere “un confronto diretto con questa gente. Mi devono dire in faccia che è andato tutto bene e che sono stati bravissimi. Mi sembra che ci stiano ancora prendendo in giro. E noi non siamo disposti a farci prendere per i fondelli. Ci sono 35mila morti. Almeno riconoscano che hanno sbagliato”. Il motivo, spiega, è che nella gestione dell’emergenza coronavirus “la Lombardia e lo Stato sono miseramente caduti. Ci stiamo accorgendo, man mano che avanziamo nell’analisi della documentazione, che le responsabilità aumentano da ogni parte. Non hanno fatto altro che rincorrere una situazione che era scappata di mano il 31 gennaio“. Il primo punto, duramente contestato dai parenti delle vittime, riguarda il piano pandemico di cui il nostro Paese avrebbe dovuto essere dotato prima dell’emergenza sanitaria. “Un membro del Cts ha dichiarato in un’intervista a Repubblica che non esisteva alcun piano pandemico alla data del 31 gennaio 2020″. In realtà, spiega Fusco, “l’Italia non lo ha aggiornato dall’anno in cui abbiamo vinto i Mondiali, dal 2006″, e si è limitata “ad aggiornarlo”.

Se invece fosse stato pronto, chiarisce, “avremmo risparmiato 10mila vite“. Poi c’è il nodo delle mancate zone rosse nella bergamasca. Anche su questo le famiglie non hanno dubbi. “Abbiamo chiesto perché ad Alzano e Nembro, che erano polveriere, non sono state fatte le zone rosse. Ci è stato risposto che chiudere quell’area significava chiudere un polmone economico del Paese e che forse si sarebbe salvata qualche vita. Una risposta del genere è scandalosa. Qualche vita è stata sacrificata per quell’interesse economico”, ha detto ai giornalisti Consuelo Locati, avvocato e rappresentante di ‘Noi denunceremo’. Riguardo a chi avrebbe dovuto istituirle, “la normativa italiana è molto precisa e lo scarico di responsabilità è fasullo”, sostiene il legale, riferendosi alle polemiche scoppiate ad aprile tra il premier Conte e la giunta Fontana. “Lo stesso verbale del Cts del 7 marzo precisa che anche le Regioni potevano istituire la zona rossa. L’accentramento in fase pandemica consente alla presidenza del Consiglio dei Ministri di emanare i Dpcm, ma è fatto salvo il potere di ogni Regione di intervenire per contenere la diffusione di un virus nel momento in cui hanno a disposizione dati che facciano pensare che il rischio è troppo alto”.

Il Comitato non ce l’ha solo con la Lombardia, accusata di aver fatto troppo poco per impedire le migliaia di morti registrate nelle fasi più acute della pandemia. “C’è una dichiarazione del presidente Conte, in cui afferma che l’8 marzo si è accorto che la situazione era diventata troppo grave, per cui ha chiuso la Lombardia e poi l’Italia e così ha difeso il Sud, ma questo ha voluto dire ammazzare la Lombardia”, ha sottolineato il presidente Fusco, assicurando che tutto il materiale raccolto finora sarà messo a disposizione della stampa e della procura. “Non possono dire che è stato fatto tutto bene, perché è stato fatto tutto abbastanza male“. Di chi è la responsabilità? “Cerchiamola”, dice Fusco. “Ma a me sembra che i documenti siano abbastanza chiari e fino a che non riusciremo ad arrivare a determinare la responsabilità che sia giudiziaria o politica noi non ci fermeremo”.