Politica

Regionali Veneto, assessori uscenti e “pancia” del popolo leghista: la guerra di Salvini a Zaia è nelle liste e mira a limitare il potere del Doge

In corsa con la Lega quasi tutti i componenti della giunta uscente: il leader vuole evitare di essere surclassato dalla lista del governatore. Già nel 2015 Zaia prese da solo il 23,08%, lasciando il Carroccio al 17,82%. Dovesse aumentare la forbice, l'ex ministro comincerebbe a preoccuparsi. Tra i candidati anche Enrico Corsi, condannato per propaganda razzista, il coordinatore della Lega Giovani che definì le Sardine "schifose" e l'uomo che con i finanziamenti anti-bracconaggio pagò i rinfreschi degli incontri di associazioni di cacciatori

Quanto vale il “fattore Z” lo si scoprirà il 21 settembre, ultimo giorno d’estate, quando in Veneto ci sarà la conta dei voti. Non tanto per verificare se Luca Zaia sarà il vincitore delle elezioni regionali, diventando Doge per la terza volta, ma per conoscere l’esito del vero scontro di queste elezioni, tutto interno alla Lega. Il segretario Matteo Salvini e il più amato dei governatori italiani fingono fair play e mantengono le distanze. Eppure entrambi sanno che il test servirà a pesare quel “fattore Z”, ovvero Zaia, che potrebbe cambiare i destini della Lega. È uno scontro vero, di personalità, di linea politica, di gradimento. E le liste messe in campo ne sono lo specchio. Perché tra saluti romani, frasi di stampo razzista, espulsioni e riapparizioni interne, disinvolti cambi di casacca, anatemi anti-rom, amici di Putin e qualche condanna penale, lo spettro delle candidature è davvero molto ampio.

Presentabili, impresentabili o soltanto spericolati? Di certo successi o insuccessi della Lega e delle altre due liste che ruotano attorno a quella del partito detteranno le gerarchie, in Veneto e forse anche all’interno del partito: Lega Salvini, è quella del partito, Zaia Presidente, è dell’asso che vuole pigliare tutto, Lista Veneta Autonomia-LVR, è quella degli amministratori. Salvini (versus Zaia) ha giocato pesante. Con un diktat il segretario ha voluto in testa alla propria lista quasi tutti gli assessori uscenti: Roberto Marcato, Giuseppe Pan, Federico Caner, Elisa De Berti, Manuela Lanzarin, Cristiano Corazzari e il capogruppo regionale Nicola Ignazio Finco. E li ha messi a lavorare pancia a terra per evitare di essere surclassato dagli uomini di Zaia. Già nel 2015 il presidente prese da solo il 23,08%, lasciando la Lega al 17,82%. Dovesse aumentare la forbice, Salvini comincerebbe a preoccuparsi. Per questo ha messo in lista, oltre ai big, un bel campionario della “pancia” del popolo leghista.

A Venezia c’è Alberto Semenzato, sospeso nel 2015 per sei mesi dal Comitato Disciplinare di Milano. All’epoca era vicino a Flavio Tosi e gli costarono cari alcuni post in cui invitava ad andare in montagna invece che a una manifestazione a Roma. “Scherzavo. Sono tutte scuse per fare giustizia sommaria”, commentò. Da vicesindaco di Mirano, in precedenza gli era stata rubata la password (così spiegò) quando apparve sulla pagina Lega Nord Mirano la scritta “Immigrati clandestini: torturali! È legittima difesa”. Tutto ciò non gli ha impedito di essere eletto in consiglio regionale cinque anni fa. E nel 2018 ha minacciato querele al vicepresidente della municipalità di Marghera che lo aveva accusato di “xenofobia e razzismo” per un discorso in ricordo delle vittime delle foibe.

Sempre a Venezia, ecco il consigliere comunale Silvana Tosi, meglio nota come la pasionaria del “No campo sinti” di Favaro Veneto. Ma qui siamo al repertorio classico. E dalla non lontana Eraclea spunta Giovanni Burato, che da segretario cittadino ha contestato nel 2017 il menù per musulmani di un istituto comprensivo, perché segno di “vera discriminazione e istigazione all’odio… questa non è vera integrazione, non vedo perché i veneti debbano azzerare la propria identità e rinunciare alle proprie tradizioni, anche culinarie”. Impeccabile. Ecco quindi Piergiovanni Sorato, che da consigliere comunale a Pianiga di una lega anti-Ue è diventato collaboratore dell’eurodeputato veronese Paolo Borchia – già assistente dell’eurodeputato Lorenzo Fontana, poi ministro – che è stato ambasciatore leghista presso Front National, Fpoe austriaco, Partito per la libertà olandese, e il fiammingo Vlaams Belang, il fior fiore della destra europea anti-europeista tanto amata da Salvini.

Di chi entra ed esce è pieno il mondo del Carroccio. Salvini candida a Padova il sindaco di Carceri, Tiberio Businaro, che nel 2011 fu indagato (e poi archiviato) in un’inchiesta su società legate al clan Catapano. Nel 2016 pagò per un buco milionario del Consorzio Padova Tre e della controllata Padova Tre (30 milioni di euro, gestione di rifiuti) di cui era vicepresidente. Danno d’immagine alla Lega, sentenziò il partito, ma il consiglio federale commutò l’espulsione in 9 mesi di sospensione. Adesso è candidato e da sindaco, nel 2019, si è messo in luce diffidando la ministra Lamorgese e il prefetto a “non assegnare cittadini extracomunitari (profughi e/o immigrati) al Comune”.

Tema che ricorre nel passato di Mauro Dal Zilio, già sindaco di Quinto. Nel 2016, dopo aver cacciato una quindicina di extracomunitari arrivati in pullman, se le suonò di santa ragione a colpi di carte bollate con la portavoce del centro sociale Django, dopo che un gruppo incappucciato aveva imbrattato la sede della Lega per rappresaglia, e con un consigliere comunale di Sel a Treviso. Sempre lì ruotano le paure. Anche per l’allora assessore all’assistenza sociale di Spresiano, Manola Spolverato, in lista a Treviso, che propose un bonus di 2.000 euro agli immigrati senza lavoro, che tornavano in patria, sperando di convincere il governo a fare lo stesso.

Soldi che vanno e vengono. Salvini si affida anche al consigliere uscente Gianpiero Possamai che aveva usato (assieme all’allora collega Sergio Berlato dei Fratelli d’Italia) il finanziamento regionale per il contrasto al bracconaggio e il miglioramento dell’ambiente per pagare i rinfreschi degli incontri di associazioni di cacciatori. Possamai, presidente di Federcaccia Veneto, si difese candidamente: “Che male c’è? Quel denaro lo versiamo noi cacciatori alla Regione…”.

Come in tutte le tenzoni elettorali può finire a torte in faccia tra alleati. A Treviso Salvini ha imposto l’assessore uscente Federico Caner, ma ha anche depennato Riccardo Barbisan per il brutto affare del bonus Covid da 600 euro. Al posto di quest’ultimo è andato in lista l’assessore trevigiano al bilancio Christian Schiavon, un osso duro perché gioca in casa. I giornali locali raccontano del sindaco Mario Conte messo sotto accusa da Caner: “Non finisce qui, a Treviso c’ero già io. Se è stato messo un assessore è anche per il tuo appoggio”.

A Verona è stato ricandidato anche Enrico Corsi, consigliere uscente, che nel 2008 fu condannato definitivamente a 2 mesi per propaganda razzista e al risarcimento ad alcune famiglie di sinti residenti a Verona. Un gruppetto – c’era anche Flavio Tosi, il futuro sindaco scaligero – aveva diffuso volantini in un quartiere per fare terra bruciata attorno ai nomadi, con frase ritenute razziste anche in Cassazione. La città dell’Arena riserva sempre qualche sorpresa. Ad esempio il coordinatore della Lega Giovani, Alberto Todeschini, che definiva “schifose” le Sardine, perché “si muovono solo per odio contro Salvini”. È stato premiato anche lui.