Politica

Sicilia, Musumeci lo definiva “un carrozzone”: ora alla guida dell’Esa piazza il presidente del suo movimento e marito della sua deputata

Il presidente della Regione nel 2018 diceva che l'Ente di sviluppo agricolo è "l'ultimo carrozzone della Prima Repubblica”, adesso ha scelto di affidare la presidenza a Giuseppe Catania: un passato da deputato regionale in quota Forza Italia durante il primo governo di Totò Cuffaro e attuale numero uno di Diventerà Bellissima. Nonché marito di Giusy Savarino, attuale deputata regionale sempre nella lista del governatore

Prima lo aveva definito “un carrozzone”, un retaggio della Prima Repubblica da eliminare. Ora invece ci piazza il marito della sua deputata regionale. Il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, affida a Giuseppe Catania la presidenza dell’Esa, ente nato a metà anni Sessanta per l’attuazione della riforma agraria ma da decenni ormai ridotto a carrozzone della politica. Così lo aveva definito Musumeci quando nel 2013 faceva opposizione a Rosario Crocetta. Sarà “l’ultimo carrozzone della Prima Repubblica”, aveva promesso invece nel 2018, quando la sua maggioranza era alle prese con i primi grattacapi legati alla legge finanziaria. Poi ha cambiato idea. Catania, 60enne di Palermo, non solo ha un passato da deputato regionale in quota Forza Italia durante il primo governo di Totò Cuffaro, ma è anche l’attuale presidente di Diventerà Bellissima, il movimento di Musumeci che, in vista delle future elezioni politiche, potrebbe federarsi con la Lega di Salvini. Non solo, Catania è infine marito di Giusy Savarino, attuale deputata regionale di Diventerà Bellissima.

La sua designazione è stata esaminata, nei giorni scorsi, dalla commissione Affari istituzionali dell’assemblea regionale, dopo che i deputati di recente hanno ottenuto il diritto di dare un parere, seppur non vincolante, sulle nomine governative. A votare contro Catania – il cui profilo non è stato ritenuto adeguato anche per la mancanza di un titolo di studio superiore al diploma – sono stati cinque esponenti dell’opposizione, tra Movimento 5 stelle e Partito democratico. Mentre il sì è arrivato da altrettanti componenti della maggioranza. Unica astenuta – dopo avere in un primo tempo votato no – la deputata Elena Pagana (ex M5s e oggi esponente di Attiva Sicilia, formazione che sin dalla nascita si dimostrata meno oltranzista dei grillini nei confronti di Musumeci). In ogni caso per bocciare la nomina sarebbero serviti almeno sette voti.

La nomina di Catania, che contattato dal Fatto Quotidiano si è detto impegnato per potere rilasciare una dichiarazione, è stata formalizzata con un decreto dell’assessore all’Agricoltura Edy Bandiera. Il provvedimento è arrivato in un momento particolare per l’Esa. L’ente, che in Sicilia ha rappresentato in passato il porto d’approdo per logiche clientelari specialmente nel settore della meccanizzazione, dove sono impiegati centinaia di operai stagionali alla stregua dei più famosi forestali, negli ultimi mesi è stato segnato dalla decadenza del consiglio d’amministrazione.

La decisione, presa proprio dall’assessore Bandiera, è legata all’applicazione di una legge regionale del 2017 che prevede la venuta meno degli organi di amministrazione degli enti regionali nel caso in cui non riescano ad adottare il rendiconto generale entro il 30 giugno dell’anno successivo. Sostanzialmente una norma nata per contrastare l’inerzia di consiglieri e presidenti, ma che nel caso dell’Esa potrebbe celare anche altro. Tra i corridoi dell’Ente di sviluppo agricolo c’è chi sostiene infatti che l’estromissione dal consiglio d’amministrazione dei due referenti delle organizzazioni di categoria e del movimento cooperativo possa essere figlia anche a una querelle nata dalla richiesta di chiarimenti sul bando per la nomina del direttore generale. L’incarico attualmente è ricoperto, nelle vesti di commissario ad acta, dal capo di gabinetto dell’assessore Bandiera, Nicolò Calderone. Le frizioni emerse dopo tali osservazioni avrebbero raggelato i rapporti tra consiglio d’amministrazione e vertici del governo, dopo due anni in cui gli stessi componenti del cda erano riusciti a smaltire un arretrato pari a quasi un decennio di bilanci non approvati. Insomma, come nella Prima Repubblica.