Calcio

Le squadre B, la “soluzione” a tutti i mali del calcio italiano: due anni dopo esiste solo la Juve Under 23. Ecco che cosa non funziona

Subito dopo la clamorosa sconfitta contro la Svezia, i vertici del pallone tricolore avevano sentenziato (con tanto di dossier ad hoc) che le seconde squadre avrebbero fatto rinascere il vivaio azzurro. Alla fine è stato fatto un semplice copia-incolla del sistema spagnolo. A 24 mesi di distanza qualcosa sembra essere andato storto: gli unici a provarsi sono i bianconeri che per ora hanno raccolto una Coppa Italia Lega Pro e 20 minuti giocati in totale da calciatori arrivati dall'Under 23

Il sogno è andato in frantumi nell’arco di un tempo. E a niente è servita quella rimonta parzialmente riuscita. Perché lunedì 13 luglio la Juventus Under 23 ha pareggiato 2-2 contro la Carrarese nel secondo turno dei playoff e ha detto addio alle speranze di salire in Serie B. Un risultato destinato a far discutere e, soprattutto, a dividere. Per chi vede il bicchiere mezzo pieno la vittoria della Coppa Italia Lega Pro rappresenta un grande successo per una squadra nata appena due anni fa. Per chi lo vede mezzo vuoto, invece, il trofeo nazionale non può cancellare un campionato (seppur ridotto a causa del Covid – 19) trascorso a trascinarsi nell’assoluta mediocrità del decimo posto. Soprattutto per una squadra che porta quel nome e veste quelle divise a strisce verticali bianche e nere. Così, a due anni dall’introduzione delle squadre B, qualcuno ha già iniziato a domandarsi se il calcio italiano non sia stato vittima di un abbaglio collettivo.

Subito dopo la clamorosa sconfitta contro la Svezia, infatti, i vertici del pallone tricolore si erano trovati improvvisamente d’accordo su due punti. Primo: la colpa della disfatta azzurra era tutta di Gian Piero Ventura. Secondo: per uscire dalla crisi nera che aveva inghiottito il calcio bisognava assolutamente procedere alla creazione delle seconde squadre. E bisognava anche farlo il prima possibile. L’idea, che già aveva iniziato a circolare dopo la figuraccia dei Mondiali brasiliani del 2014, era così diventata un dogma. Tutti d’accordo, tutti convinti di avere in mano la soluzione. “Credo sia una cosa buona per tutti, che aiuta molti ragazzi tesserati di Serie A a non essere solo pagati, ma a capire se c’è tra questi, possibilmente italiano, qualcuno che possa fare bene”, aveva detto all’epoca il presidente del Coni Giovanni Malagò. “Le seconde squadre restano la ricetta giusta. Lo dico a ragion veduta: Messi fece le sue prime partite con me al Barcellona provenendo proprio dalla squadra B”, aveva garantito Demetrio Albertini. Ma endorsement importanti erano arrivati anche da Massimiliano Allegri ed Eusebio Di Francesco, allora allenatori di Juventus e Roma, mentre Aurelio De Laurentiis, nel 2017, si era addirittura vantato di essere più realista del re: «”Io e Agnelli eravamo assolutamente favorevoli alle seconde squadre – aveva confidato alla radio ufficiale del club – siamo stati segati da Lotito”.

Un attacco frontale al presidente della Lazio che, al contrario, era un fervente sostenitore delle multiproprietà. L’11 maggio 2018, poi, la Figc aveva pubblicato un dossier, elaborato dal Centro Studi e dal Club Italia/Match Analysis, che affermava apertamente la “necessità della riforma”. Il dado era tratto, non si poteva più tornare indietro. Così le seconde squadre sono state introdotte in Italia, facendo il copia e incolla del sistema spagnolo. Le Under 23 sarebbero partite dalla Serie C, avrebbero potuto essere promosse ma avrebbero potuto ambire solo alla serie inferiore rispetto a quella della squadra principale, i giocatori della seconda squadra potevano essere convocati senza problema dal club principale, che rimaneva proprietario del loro cartellino. In più le rose avevano dei limiti ben stabiliti: massimo 23 calciatori, fra questi 19 dovevano essere under 23 e gli altro potevano essere fuori quota. Ma non finisce qui. Perché almeno 16 calciatori dovevano essere “cresciuti calcisticamente in Italia” (ossia dovevano essere stati tesserati per almeno 7 stagioni da una società affiliata alla Figc). Questo avrebbe permesso ai club più importanti di far giocare i propri giovani in un torneo più competitivo rispetto a quello Primavera, riuscendo così a sgrezzarli più in fretta. I giocatori dell’Under 23, in poche parole, dovevano diventare elementi a metà strada fra il vivaio e la prima squadra, pronti ad affinare le proprie qualità e a essere buttati nella mischia quando necessario.

Un’idea perfetta. Almeno sulla carta. Perché 24 mesi più tardi qualcosa sembra essere andato storto. Il dato più impattante è anche il più immediato. In due anni solo la Juventus ha creato la sua squadra Under 23. La Roma, Inter, Milan e Atalanta, che sembravano le più interessate al progetto, si sono invece defilate. Un dettaglio non da poco, visto che nel 2018 ben 14 delle 20 squadre che giocavano nella Liga avevano una squadra B. E i motivi sono facilmente comprensibili. Per iscrivere una Under 23 al torneo di Serie C bisogna versare un contributo di 1,2 milioni alla Lega Pro. Un versamento che, tuttavia, non dà diritto all’acquisizione di diritti economici o al diritto di voto alla Lega (espressamente proibito alle seconde squadre). Poi vanno aggiunti i costi delle trasferte, gli stipendi dei calciatori, dello staff e dell’allenatore e soprattutto del calciomercato, che deve garantire una rosa in grado di restare a galla in un campionato comunque competitivo. E tutto, ovviamente, senza entrate significative derivanti dal merchandising e dalla biglietteria. Per questo, iscrivere una seconda squadra al torneo di Serie C vuol dire andare in contro a una perdita sicura.

Non che da un punto di vista tecnico la storia sia poi molto diversa. La rosa della Juventus Under 23 ha un valore, secondo i dati riportati dal sito specializzato Transfermarkt, di 7,78 milioni di euro. Solo il Monza, con 11,65, ha una quotazione maggiore, mentre la terza squadra, l’Alessandria, vale poco più della metà dei bianconeri con un totale di 4,65 milioni. E ancora: nella Juventus sono passati 11 stranieri, contro i 4 che hanno vestito le maglie di Alessandria, Siena, Novara, Renate e Gozzano, le più attente al mercato estero. Investimenti importanti che non sono stati tradotti in risultati sportivi. Al contrario, la seconda rosa più costosa del campionato è di una società che è riuscita ad accedere ai playoff come decima della classe. Un fallimento. Più o meno come l’apporto tecnico dell’Under 23 alla prima squadra. Nelle prime 33 giornate di Serie A sono 9 i giocatori della Squadra B che sono riusciti a sedersi accanto a Sarri: Marco Olivieri (11 panchine), Simone Muratore (10), Luca Coccolo (6), Wesley (5), Manolo Portanova (2), Giacono Vrioni (2), Luca Zanimacchia (1), Daouda Peters (1) e Han Kwang-song (1). E il loro apporto alla prima squadra è stato nullo.

Fra questi solo Muratore e Olivieri sono riusciti a mettere qualche minuto nelle gambe: il primo ha giocato 13’ contro il Bologna, mentre nella sfida contro il Milan si è dovuto accontentare di uno spezzone di recupero. Il secondo è sceso in campo per 7’ contro un Genoa già battuto. Un totale di 20’ giocati che non sembra discostarsi molto dai risultati ottenuti dalle care vecchie Primavera. Il dato più interessante, però, viene dal mercato trasferimenti. Come nota Pippo Russo, infatti, a gennaio la Juventus ha prelevato dal Barcellona B l’attaccante Alejandro Marqués, che con i blaugrana aveva un contratto in scadenza nel giugno 2020. Costo del trasferimento: 8,5 milioni di euro. Un acquisto che sembra destinato a cambiare le sorti della squadra ma che in bianconero gioca appena 127’ fra campionato, coppa e play-off. Contemporaneamente il 22enne brasiliano Matheus Pereira (arrivato alla Juve nel gennaio 2018 dal Bordeaux e poi prestato a Paranà e Digione) si trasferisce al Barça in prestito per 1,5 milioni. Un’operazione che ha consentito a entrambi i club di effettuare una plusvalenza. Così come sono diverse le operazioni portate a termine con il Pescara e il Parma, che hanno portato i club a iscrivere segni positivi nei rispettivi bilanci. Senza contare poi la cessione di Ahn all’Al Duhail per circa 7 milioni, dopo essere stato acquistato dal Cagliari un anno prima per 3,5 milioni. Sempre come riporta Russo, in questa stagione la Juventus B ha speso sul mercato 39,03 milioni di euro, più di una piccola di Serie A. E pensare che le altre 59 società iscritte alla Lega Pro hanno speso poco più di 3,5 milioni. Uno sforzo notevole al quale non hanno fatto seguito risultati sul campo. E fino a quando le Under 23 saranno limitate a una squadra sola, sarà difficile non parlare di fallimento.