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Nfl, addio ai Washington “Redskins”: la società cambia nome dopo le accuse di razzismo in seguito alla morte di George Floyd

Grandi marchi che ogni anno finanziano il club di Nfl, tra cui FedEx, Nike e Pepsi, hanno inviato un ultimatum alla società chiedendo di cambiare, dopo 87 anni, quel "pellerossa" e il simbolo del nativo americano, minacciando di ritirare la sponsorizzazione

Ben 87 anni e più di mille partite. Tanto sono durati il nome e il logo dei Washington ‘Redskins’. Sì, perché la franchigia di football della capitale Usa ha annunciato che eliminerà ogni riferimento ai nativi americani, in seguito alle ultime polemiche su nome e simbolo considerati razzisti, diventate particolarmente vibranti dopo la morte di George Floyd.

Una storia iniziata negli Anni 30, a Boston e non a Washington, città in cui la franchigia si trasferì nel 1937, dopo cinque anni dalla fondazione: quel nome e quel simbolo, un nativo americano con due piume tra i capelli su sfondo giallo, avevano spesso attirato polemiche.
Negli anni 30 si era scelto il riferimento ai “pellerossa” per rimandare al coraggio e alla fierezza dei nativi americani, ma il termine coniato dai coloni inglesi ha sempre avuto un senso dispregiativo. Idem per il logo, sebbene fosse diventato uno dei più riconoscibili della Nfl.

A più riprese il termine “redskins” e il logo erano finiti nel mirino di associazioni, delegazioni di nativi americani e media che spingevano per un cambio di nome: diverse le manifestazioni con striscioni che recitavano slogan come “We are not your mascots” (“Non siamo le vostre mascotte”). Ma mai i vertici della squadra avevano accolto tali appelli e proprio l’attuale proprietario, Dan Snyder, uomo d’affari con patrimonio netto da 2,6 miliardi di dollari, aveva dichiarato che mai e poi mai avrebbe cambiato nome alla squadra.

Erano intervenuti anche politici, come la Ocasio-Cortez, membro della Camera dei Rappresentanti, che dai social aveva criticato, giudicandola poco utile, la presa di posizione della squadra contro il razzismo: “Volete davvero difendere la giustizia razziale? Cambiate nome”, aveva scritto.

Ma dove non sono riuscite le manifestazioni e le proteste sono arrivati gli sponsor: tutto è cominciato da FedEx, società che dà il nome allo stadio degli ormai ex Redskins, che ha invitato a modificare il nome. Poi è stata la volta della Nike che ha ritirato il materiale griffato dai suoi store, e infine Pepsi e Bank of America. Insomma, partner importantissimi per una franchigia che vale secondo Forbes 3,4 miliardi di dollari: per intenderci, tre volte il Real Madrid.

Di qui il comunicato della società: “Oggi annunciamo il ritiro di nome e logo Redskins. Dan Snyder e coach Rivera stanno lavorando a stretto contatto per sviluppare un nuovo nome e un approccio progettuale che miglioreranno la reputazione del nostro gruppo, orgoglioso e ricco di tradizione, e ispireranno i nostri sponsor, i fan e la community per i prossimi 100 anni”. Grande attesa dunque per il nuovo nome e il nuovo logo, che dovrebbero essere ufficializzati prima della prossima stagione di Nfl.

Non è la prima volta che una squadra sportiva americana elimina loghi e riferimenti considerati offensivi per i nativi americani: due anni fa erano stati i Cleveland Indians, franchigia del baseball, a togliere il famosissimo logo di “Chief Wahoo”, un capo indiano, rosso, con sorriso ammiccante a 32 denti e lunga piuma in testa. Transizione che però ancora non si completa: è ancora possibile trovare e comprare negli store cappellini e altro con il logo di “Chief Wahoo”, tra i più apprezzati (e acquistati) dagli amanti del genere.