Società

Istat: “Covid ha aumentato le disuguaglianze e colpito i più vulnerabili. Ci saranno 10mila nati in meno”

Il rapporto annuale dell'Istituto di Statistica misura gli effetti della pandemia, che ha ampliato il divario sociale. Il 12% delle azienda pensa di tagliare posti di lavoro e un terzo delle società è a rischio liquidità. Intanto la spesa per investimenti sanitari si è sensibilmente erosa nel tempo e i nostri posti letto sono meno della metà rispetto a quelli della Germania

Un Paese dove l’ascensore sociale funziona al contrario, ed è più facile scendere che salire, dove la pandemia traccia disuguaglianze “significative” e allarga i divari esistenti. Un clima di incertezza e paura che si riflette anche sulla denatalità, con “poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021”, nonostante un diffuso desiderio degli italiani di diventare genitori. Al centro del Rapporto annuale dell’Istat c’è la crisi Covid: le più colpite dalla pandemia sono le fasce più vulnerabili e meno istruite della popolazione mentre sul fronte dell’occupazione il 12% delle imprese pensa di tagliare personale. Aumentano poi le diseguaglianze a svantaggio delle donne, dei giovani e dei lavoratori del Mezzogiorno: con maggiore frequenza si tratta di lavoratori a tempo determinato e a tempo parziale, specie involontario, che occupano posizioni lavorative ad alto rischio di marginalità e di perdita del lavoro. Inoltre la spesa sanitaria ristagna, con un calo di medici e infermieri. mentre negli anni l’erosione dei posti letto negli ospedali ha portato ad averne con 3,5 ogni mille abitanti, contro gli 8 della Germania.

La pandemia accentua le disuguaglianze – “L’arrivo del Covid ha portato al sovrapporsi delle disuguaglianze sulle precedenti disuguaglianze del mercato del lavoro”, dice il direttore centrale per gli studi e la valorizzazione dell’area sociale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini. In particolare, spiega, “siccome il settore colpito di più in questo momento e meno tutelato dal punti di vista degli ammortizzatori sociali e della cig è quello dei servizi, a differenza di quel che è accaduto nelle precedenti crisi in cui erano industria e costruzione, ha fatto sì che peggiorasse la situazione delle donne e dei giovani. Giovani che ormai tra i 25 e i 34 anni ormai stanno 10 punti di tasso di occupazione sotto i livelli del 2008: 8 punti che si portavano dal periodo pre-Covid e due punti che si sono aggiunti solo con marzo e aprile. Ora anche qualcosa di più con il mese di maggio. Particolarmente critica è poi la situazione degli irregolari, considerando che nel settore dei servizi, rientrano la ristorazione e il turismo dove sappiamo che l’irregolarità è più frequente”. Quanto ai più piccoli, per l’Istat “la chiusura delle scuole imposta dall’emergenza epidemica può produrre un aumento delle diseguaglianze tra i bambini: nel biennio 2018-2019 il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma la quota sale al 19% nel Mezzogiorno (7,5% nel Nord e 10,9% nel Centro). Lo svantaggio aumenta se combinato con lo status socio-economico: non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione”. Inoltre, “svantaggi aggiuntivi per i bambini possono derivare dalle condizioni abitative. Il sovraffollamento abitativo in Italia è più alto che nel resto d’Europa (27,8% contro 15,5%), soprattutto per i ragazzi di 12-17 anni (47,5% contro 25,1%)”.

Ascensore sociale – La “classe” di origine influisce meno sulla collocazione sociale che si raggiunge all’età di 30 anni rispetto al passato ma pesa ancora in misura rilevante. Per l’ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa. Il 26,6% dei figli rischia un ‘downgrading’ rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima.

Sanità – “L’emergenza sanitaria interviene a valle di un lungo periodo in cui il servizio sanitario nazionale è stato interessato da un ridimensionamento delle risorse. Dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2% medio annuo a fronte di una crescita economica dell’1,2%”, si spiega nel dossier. La spesa per investimenti delle aziende sanitarie è scesa dai 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 miliardi nel 2018. Rispetto al 2012 “il solo personale a tempo indeterminato del comparto sanità si è ridotto di 25.808 unità (-3,8%): i medici sono passati da 109mila a 106mila (-2,3%) e il personale infermieristico da 272mila a 268mila (-1,6%)”. Drammatica la situazione dei posti letto ospedalieri in Italia, che “si è ridotta notevolmente nel tempo: nel 1995 erano 356mila, pari a 6,3 per 1.000 abitanti, nel 2018 sono 211mila, con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti. Nell’Ue a 28 mediamente l’offerta di posti letto è di 5,0 ogni 1.000 abitanti, in Germania sale a 8″, fa presente l’Istituto. Quindi in Italia abbiamo meno della metà dei posti letto rispetto ai tedeschi. Stesso discorso vale se si fa il confronto sul personale infermieristico: 58 per 10mila residenti contro 129.

Lavoro – La fotografia del mercato del lavoro pre-pandemia mostra diseguaglianze crescenti. Gli uomini, i giovani, il Mezzogiorno e i meno istruiti non hanno ancora recuperato i livelli e i tassi di occupazione del 2008. Nel 2019 il numero di occupati ha superato di 519mila unità il valore del 2008 nel Centro-nord mentre nel Mezzogiorno il saldo è ancora negativo di 249mila. Tra i giovani di 25-34 anni gli occupati sono oltre 1 milione e 400mila in meno. Al contrario le donne segnano un aumento di 602mila unità mentre gli uomini occupati in settori particolarmente esposti agli andamenti del ciclo hanno subito un calo di 332mila unità. Rispetto alla qualità del lavoro aumentano le diseguaglianze a svantaggio delle donne, dei giovani e dei lavoratori del Mezzogiorno. Con maggiore frequenza si tratta di lavoratori a tempo determinato e a tempo parziale, specie involontario, che occupano posizioni lavorative ad alto rischio di marginalità e di perdita del lavoro.

Imprese – Sono molteplici i fattori di fragilità del sistema produttivo. Il problema del reperimento della liquidità è molto diffuso, i contraccolpi sugli investimenti – segnalati da una impresa su otto – rischiano di costituire un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro. Tuttavia, si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo. Si stima che a fine aprile quasi due terzi delle circa 800mila società di capitale italiane avessero liquidità sufficiente a operare almeno fino a fine 2020 mentre oltre un terzo sarebbe “risultato illiquido o in condizioni di liquidità precarie”.

Desiderio di famiglia – Una “bassa” fecondità, “in costante calo dal 2010”, ma un “diffuso” ed “ancora elevato” desiderio di maternità e paternità. Una “forte discrepanza” quella registrata dall’Istat nel Rapporto annuale 2020. Il modello ideale di famiglia contempla infatti due figli. È così per il 46% delle persone, il 21,9% ne indica tre o più. Sono “solo” 500mila quanti tra i 18 e i 49 anni affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita.