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Egitto, storia di Malak: “Io, transgender 19enne nelle carceri maschili di al-Sisi, tra abusi sessuali e violenze. Zaki? Un amico e modello”

La giovane attivista, uscita dalla prigione dove era finita con l'accusa di terrorismo dopo aver pubblicato alcuni post sui social critici nei confronti del governo, ha fatto ricorso contro il ministero degli Interni perché non le ha dato la possibilità di trascorrere la detenzione in un carcere femminile. "Ma i giudici hanno rigettato la mia richiesta perché ormai ero già stata liberata"

Durante i suoi cinque mesi di detenzione nella famigerata prigione di Tora al Cairo – sezione Mazraa, la stessa dove è stato detenuto l’ex presidente Hosni Mubarak, morto nel febbraio scorso -, tra marzo e luglio del 2019, Malak al-Kashif, allora 19enne, ha subito ogni sorta di violenza da parte delle guardie del penitenziario. Per Malak, giovane transgender egiziana, un’esperienza da incubo: “Sono stata oggetto di perquisizioni anali, abusi sessuali e tenuta per mesi in una cella solitaria senza la possibilità di vedere nessuno, di ricevere visite dall’esterno”.

La sua denuncia, ben strutturata, ha avuto un seguito quando, alla fine del luglio scorso, è stata rilasciata e ha messo la sua storia nelle mani dell’avvocato Amr Mohamed e della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), la stessa che si occupa da quattro anni dell’assassinio di Giulio Regeni. In coro avevano chiesto che Malak trascorresse la sua detenzione in un carcere femminile, temendo ciò che poi si è verificato. Quando i suoi legali hanno presentato l’esposto contro il ministero degli Interni per quella decisione, affinché le garantisse una detenzione protetta, la Corte amministrativa della capitale ha analizzato il suo caso e pochi giorni fa emesso il suo parere: “Il ricorso è stato bocciato con una motivazione che la dice lunga. Non essendo io fisicamente in prigione in quel momento, non sussistevano i margini per un’indagine – ammette sfiduciata Malak – In fondo me l’aspettavo, avrebbero fatto più bella figura nel dirmi ‘rigettiamo il tuo esposto perché sei una transgender e lo Stato non riconosce la tua esistenza’, invece di inventarsi una frottola simile. I membri della Corte e la maggior parte degli egiziani non possono immaginare l’inferno vissuto in quella prigione. Essere una donna trans in uno Stato autoritario e patriarcale come l’Egitto è difficile. Anche nel resto del mondo le transgender sono esposte a discriminazioni, violenze e addirittura omicidi, ma almeno nei Paesi del ‘Primo mondo’ esistono leggi esplicite che le proteggono e le tutelano”.

Malak al-Kashif è stata arrestata il 6 marzo 2019 e accusata, tra le altre cose, di terrorismo. La sua colpa, aver pubblicato dei post sui social in cui attaccava il governo per la strage alla stazione centrale Ramses del Cairo di pochi giorni prima, il 27 febbraio: una locomotiva si era schiantata provocando l’esplosione del serbatoio e un incendio nell’area affollata provocò 30 morti e oltre 40 feriti. “In Egitto – aggiunge Malak al-Kashif – la vita è come una lotteria, sai di poter essere arrestata in ogni momento, addirittura per terrorismo o per minaccia verso la sicurezza nazionale. Con i miei post volevo soltanto rendere le persone consapevoli delle tragedie e dell’assurdità di certi episodi. Il vero terrorismo lo applica lo Stato arrestando persone innocenti solo perché difendono i diritti umani in questo Paese. Attivisti politici rinchiusi per mesi, anni, lasciati morire in carcere, gay e transgender discriminati perché la società non li accetta”.

La sua vicenda è stata oggetto di campagne di protesta in molti Paesi, tra cui l’Italia. Il 3 aprile 2019 alcuni parlamentari, Ivan Scalfarotto, Lia Quartapelle, Piero Fassino (Pd) e Laura Boldrini (allora Leu) avevano presentato un’interrogazione parlamentare al ministero degli Esteri a proposito della detenzione della giovane transgender egiziana. Si chiedeva un intervento della Farnesina sul caso specifico e sulla condizione delle persone Lgbt in Egitto.

Lo stesso settore di cui da sempre si è occupato Patrick Zaki, lo studente egiziano arrestato all’inizio di febbraio di quest’anno al rientro al Cairo da Bologna, dove stava seguendo il programma Erasmus. I suoi studi universitari, sia in Egitto che in Italia, e la sua attività precedente per una organizzazione del Cairo riguardavano proprio le identità di genere. Patrick, dopo il primo mese a Mansoura, è stato trasferito nella prigione di Tora. Da allora di lui non si hanno più notizie e la sua detenzione viene rinnovata senza udienze in tribunale a causa della pandemia da Covid: “Patrick è un amico, una persona straordinaria, sotto ogni profilo e il suo arresto è stato uno choc – racconta preoccupata Malak – L’ho sempre considerato speciale, le sue notevoli abilità lo rendono unico, per me è stato e resta un modello. Nonostante sia ancora giovane (28 anni, ndr.) Patrick ha fatto già tantissimo per il movimento dei diritti umani in Egitto, specie per la sfera Lgbt. Nei suoi confronti sono state fabbricate delle accuse che non stanno né in cielo né in terra, solo perché è una di quelle persone che danno fastidio al regime. Rinchiuderlo in carcere e non dargli l’opportunità di seguire corsi ed esami in Italia sono colpe che non perdonerò mai al governo. Non smetterò di lottare per lui e per gli altri prigionieri politici in carcere in Egitto”. Proprio in questi giorni, Malak ha lanciato una campagna social a favore di Maha al-Mutairi, una transgender di 39 anni arrestata venerdì scorso in Kuwait, picchiata e sottoposta ad abusi e violenze dalla polizia.