Ambiente & Veleni

Smaltimento rifiuti durante il Covid, M5s: ‘Arginare uso inceneritori e discariche, basta proroghe e deroghe alla gestione ordinaria’

Interpellanza urgente dei pentastellati in cui si chiede anche di riconsiderare la necessità di avviare prioritariamente all’incenerimento i rifiuti indifferenziati derivanti da abitazioni di cittadini positivi

Termini di deposito e stoccaggio più lunghi rischiano di lasciare spazi allo smaltimento illecito dei rifiuti e a incendi dolosi. È la motivazione alla base di un’interpellenza urgente (prima firmataria la deputata pentastellata Caterina Licatini) rivolta ai ministri dell’Ambiente e della Salute nella quale si chiede di “rivedere e aggiornare proroghe o deroghe alla gestione ordinaria dei rifiuti, già adottate dalle regioni con ordinanze ‘contingibili e urgenti’ sulla base della circolare del 30 marzo 2020 del ministero dell’Ambiente”. I parlamentari, inoltre, invitano a riconsiderare la necessità di avviare prioritariamente all’incenerimento i rifiuti indifferenziati derivanti ‘da giro dedicato’, ovvero da abitazioni di cittadini positivi al tampone o in quarantena. L’obiettivo, spiegano, è quello “di arginare il ricorso a inceneritori e discariche, che farebbe precipitare il sistema industriale italiano dei rifiuti a oltre trent’anni fa”.

DEROGHE E PROROGHE ALLA GESTIONE DEI RIFIUTI – Nell’interpellanza si invita a circoscrivere alla durata dell’emergenza la deroga quantitativa e temporale accordata al deposito temporaneo dei rifiuti presso il luogo in cui sono stati prodotti, contenuta nell’articolo 113-bis inserito nella legge di conversione del decreto Cura Italia. Il testo consente un deposito temporaneo fino a un quantitativo massimo doppio rispetto a prima, ovvero fino a 60 metri cubi (di cui 20 metri cubi di rifiuti pericolosi) e fino a 18 mesi (prima era un anno). Il timore che questa disposizione, legittimata dall’emergenza sanitaria, possa diventare ‘ordinamentale’ è stato manifestato anche dalla Commissione Ecomafie. “La storia ci insegna – ha spiegato la stessa Licatini in assemblea – che in Italia le emergenze sono state spesso sfruttate per eludere la legge con deroghe, proroghe e normative di favore”. A rispondere in aula è stato il sottosegretario Roberto Morassut, secondo cui l’estensione quantitativa e temporale dei termini introdotta nella circolare del 30 marzo era “necessaria, al fine di poter garantire la corretta gestione dei rifiuti speciali” durante l’emergenza, ma se il legislatore, in fase di conversione, avesse voluto modificare radicalmente la norma inserendo degli aspetti ordinamentali, “avrebbe agito modificando completamente il testo, cosa che però non è avvenuta. L’emendamento – ha aggiunto – si inserisce poi all’interno di un corpus normativo del provvedimento nel suo complesso, che è volto all’emergenza”.

RESTANO I DUBBI – In aula, a nome del gruppo della Commissione ambiente del MoVimento 5 Stelle, è intervenuto Giovanni Vianello. “A inizio epidemia – ha dichiarato – abbiamo sentito i soliti storici sedicenti tecnici dei rifiuti, secondo cui poiché arrivava l’epidemia, ci sarebbero stati nuovi rifiuti, nuove mascherine, nuovi guanti e quindi occorrevano nuovi inceneritori”. Di fatto, in questi mesi di emergenza non c’è stato un aumento della produzione dei rifiuti, bensì una diminuzione di mezzo milione di tonnellate di rifiuti urbani. L’Ispra ha calcolato che in Italia, da qui a fine anno, potranno essere consumate ogni giorno 37 milioni di mascherine e circa 75 milioni di paia di guanti, per un totale di oltre 300mila tonnellate di rifiuti DPI non riciclabili. Secondo molti esperti si tratta di dati sovrastimati, che comunque (lo dice la stessa Ispra) non comporteranno nessun problema per l’impiantistica. E allora “la norma non va bene e invitiamo a rivederla” spiega Vianello. A confermare i timori a ilfattoquotidiano.it anche Rosanna Laraia, già responsabile del Centro nazionale per il ciclo dei rifiuti dell’Ispra e oggi consulente del ministro dell’Ambiente. “Per Morassut la norma va letta nell’ottica transitoria – spiega – ma mi risulta che molti giuristi non la leggano così”. Anche l’ex ministro Edo Ronchi, presidente della Fondazione Sviluppo sostenibile, ha osservato che l’articolo a non fa riferimento ad alcuna scadenza, ritenendo che 18 mesi siano troppi. Non solo. “Se l’articolo 183 del decreto legislativo 152 del 2006 – spiega Rosanna Laraia – disegnava due alternative per il deposito temporaneo (massimo tre mesi indipendentemente dalla quantità oppure fino a un anno se non si raggiungevano i 30 metri cubi, di cui 10 pericolosi), oggi le quantità sono raddoppiate, ma non mi sembra si indichi l’alternativa. Il dubbio è che si possano tenere 18 mesi, indipendentemente dalla quantità e sarebbe un disastro, considerato che non si prevedono autorizzazioni e che non ci sarà tracciabilità”.

PROTEGGERSI NEL RISPETTO DELL’AMBIENTE – L’altro punto è quello della gestione dei rifiuti a seguito della riapertura di molti negozi e fabbriche, con riferimento particolare ai prodotti monouso (guanti, mascherine e tute provenienti da famiglie e ambienti lavorativi). “Occorre promuovere l’utilizzo di mascherine certificate riutilizzabili – ha spiegato la deputata Licatini – lavabili anche sulla base di uno standard tecnico che ne consideri l’efficacia e il ciclo di vita in relazione a un uso comune e non di carattere sanitario”. Sebbene le attività connesse alla gestione dei rifiuti non si siano mai arrestate in virtù della loro essenzialità, per la parlamentare è necessario programmare una fase 2. Questione già affrontata con l’interpellanza urgente della collega Ilaria Fontana e firmata da tutta la Commissione ambiente del Movimento 5 Stelle. “Purtroppo ad oggi – ha ricordato Caterina Licatini – si registrano ancora difformità e incertezze in ordine alla non acclarata classificazione di questi rifiuti speciali, assimilabili agli urbani o sanitari a rischio infettivo”. Il rischio è quello di oneri per la raccolta “molto diversi per le aziende” e di cui “non è difficile immaginare il peso in questa particolare contingenza”. Nel testo si chiede di lavorare a protocolli per bar, ristoranti e consumatori, per evitare il diffondersi del monouso in plastica.

LA RACCOLTA DEI DPI – Per quello che riguarda raccolta e gestione dei dispositivi di protezione individuale usati, Morassut ha spiegato che la circolare del 30 marzo ha fornito tutte le indicazioni per gestirli in ambito domestico, in presenza o meno di soggetti contagiati, consentendo nell’immediato la raccolta dei dispositivi nei rifiuti indifferenziati che, per ulteriore sicurezza, sono avviati prioritariamente all’incenerimento. “Allo stato attuale – spiega Morassut – tale gestione rimane la migliore percorribile”. Attualmente è in fase di studio da parte dell’Ispra la possibilità di promuovere una raccolta separata, “ancorché sperimentale” che possa (in alternativa all’attuale gestione) consentire “un flusso dedicato” per evitare “che tali rifiuti vengano abbandonati”. Per quanto riguarda i rifiuti derivanti dall’uso dei dispositivi nell’ambito di attività economiche e produttive, Ispra ha pubblicato un documento che fornisce indicazioni su classificazione e diretta gestione, smaltimento compreso, dei rifiuti di DPI usati, mascherine, guanti ed altro.

DIFFERENZIATA E STERILIZZAZIONE – Per quanto riguarda i rifiuti urbani provenienti dalle abitazioni di persone positive o in quarantena, Vianello sottolinea come non esista un dato che suggerisca “che questi rifiuti debbano andare nell’indifferenziato”. E ricorda come l’Europa continui a puntare sulla differenziata. “Le aziende italiane – ha aggiunto – sono pronte ad affrontare il rischio biologico e lo hanno ribadito in audizione”. Anche perché “i tempi di stoccaggio e di lavorazione sono talmente lunghi che il virus si inattiva”. Per quanto riguarda i rifiuti ospedalieri, un decreto del Presidente della Repubblica ne disciplina il trattamento e dà la possibilità di incenerirli o sterilizzarli. “Siamo andati a visitare aziende – ha raccontato Vianello – e ospedali che fanno sterilizzazioni in situ, senza far portare i rifiuti in inceneritori dall’altra parte d’Italia. Si azzera il rischio biologico e si trasforma un rifiuto potenzialmente pericoloso, in uno che potrebbe essere riutilizzato.