Mafie

Coronavirus, ai domiciliari anche uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo. Il ragazzino fu rapito e poi sciolto nell’acido

C'è anche Franco Cataldo, 85 anni, condannato all’ergastolo per concorso nel sequestro del figlio del pentito Santino Di Matteo, tra gli oltre trecento mafiosi scarcerati in questi ultimi giorni. Al detenuto, che stava scontando la pena nel carcere milanese di Opera, sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute

Deve scontare l’ergastolo perché fu tra i carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, il ragazzino che poi sarà ucciso e sciolto nell’acido. Ma da alcuni giorni Franco Cataldo ha ottenuto i domiciliari. C’è anche l’uomo condannato all’ergastolo per concorso nel sequestro del figlio del pentito Santino Di Matteo, tra gli oltre trecento mafiosi scarcerati in questi ultimi giorni. Al detenuto, che stava scontando la pena nel carcere milanese di Opera, sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute.

Cataldo, che oggi ha 85 anni, era stato arrestato con diversi altri mafiosi dopo la scoperta del bunker sotterraneo, in un casolare di San Giuseppe Jato, dove era stato segregato il figlio del pentito Di Matteo, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca. Secondo l’accusa uno dei covi utilizzati per nascondere il bambino sarebbe stata una masseria di proprietà di Cataldo.

Rapito il 23 novembre del 1993, il piccolo Di Matteo venne nascosto in diversi nascondigli, soprattutto isolate fattorie di campagna. Nel casolare di Cataldo fini tra l’estate e l’ottobre del 1994, quando l’uomo oggi scarcerato riuscì a restituirlo agli uomini di Brusca con una motivazione curiosa: visto che si avvicinava il periodo della raccolta delle olive, gli serviva il capanno dove era rinchiuso il ragazzino. In seguito il piccolo Di Matteo subì vari spostamenti fino all’omicidio e alla terribile tecnica usata per farne sparire il corpo: era l’11 gennaio del 1996, 25 mesi dopo il rapimento.

Rapito su ordine di Brusca, i sequestratori contattarono il nonno con un pizzino: “Devi andare da tuo figlio e farci sapere che, se vuole salvare il bambino, deve ritirare le accuse fatte a quei personaggi, deve finire di fare tragedie”. Lo stesso giorno il pentito ebbe un colloquio con la moglie, intercettato, in cui la donna gli chiede, essenzialmente, di non parlare della strage di via d’Amelio. “Qualcuno è infiltrato per conto della mafia – dice – Tu non devi pensare alla strage di Borsellino. A Borsellino c’è stato qualcuno infiltrato che ha preso…Bisogna capire se c’è qualcuno della Polizia infiltrato pure nella Mafia. Lui mi ha detto: suo marito deve ritrattare”. I due non hanno mai chiarito il significato di quell’intercettazione.