Scienza

Tumori, lo studio italiano: “L’aspirina riduce il rischio di quelli gastrointestinali, compresi pancreas e fegato”

. L’analisi dei ricercatori dell'Istituto Mario Negri di Milano, la più ampia e completa ad oggi, è stata pubblicata sulla rivista Annals of Oncology.

I benefici dell’aspirina sembrano non finire mai. Il farmaco – in uno studio dell’Istituto Mario Negri di Milano – è associato a una riduzione del rischio di tumore del colon-retto e altri tumori dell’apparato gastrointestinale, compresi alcuni che hanno una prognosi molto sfavorevole, come pancreas e fegato. L’analisi dei ricercatori, la più ampia e completa ad oggi, è stata pubblicata sulla rivista Annals of Oncology.

Le riduzioni del rischio sono comprese tra il 22% e 39%, con effetti crescenti al crescere della dose di aspirina e del numero di anni per cui viene assunta. In particolare lo studio mostra una riduzione del 27% del rischio di tumore dell’intestino, del 33% del cancro dell’esofago, del 39% del tumore del cardias (la valvola che connette esofago a stomaco), del 36% il tumore dello stomaco, del 38% il rischio di tumori epato-biliari, del 22% il rischio di cancro del pancreas.

Lo studio è stato coordinato da Carlo La Vecchia che spiega: “Per il 2020 si prevede qualcosa come 175.000 decessi per cancro del colon nell’Unione europea, di cui 100.000 riguardanti individui di 50-74 anni. Se l’uso regolare di aspirina aumentasse dal 25% al 50% in questa fascia di età, si potrebbero evitare dai 5.000 ai 7.000 decessi per tumore del colon e tra 12.000 e 18.000 nuovi casi di questi tumori.

Per il tumore del colon-retto è stato analizzato l’effetto della dose e della durata. Il rischio di tumore si riduce all’aumentare della dose: un dosaggio compreso tra i 75 e 100 mg al giorno è associato ad una riduzione del 10% rispetto a chi non utilizza aspirina; un dosaggio di 325 mg al giorno è associato ad una riduzione del 35% e un dosaggio di 500 mg al giorno è associato ad una riduzione del rischio del 50%. Tuttavia, la stima del rischio calcolata per alte dosi di aspirina è basata su pochi dati e deve essere interpretata con cautela. Rispetto alle persone che non assumono regolarmente aspirina, il rischio di tumore del colon-retto diminuisce fino a dieci anni di utilizzo regolare: il rischio è ridotto del 4% dopo un anno di utilizzo, dell’11% dopo tre anni, del 19% dopo cinque anni e del 29% dopo dieci anni.

La ricerca, coordinata dall’Unità di Epidemiologia dei Tumori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, ha esaminato 113 studi osservazionali, pubblicati fino a marzo 2019. Di questi, 45 riguardavano il tumore al colon-retto, per un totale di 156.000 casi. Oltre al tumore del colon-retto, sono stati considerati i tumori di testa e collo, esofago, stomaco, cardias, fegato e vie biliari, e pancreas.

“L’utilizzo regolare di aspirina, definito come l’assunzione di almeno una o due compresse a settimana – spiega Cristina Bosetti, capo dell’Unità di Epidemiologia dei Tumori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS -, è associato ad una riduzione significativa del rischio di sviluppare queste neoplasie, a eccezione di quelli della testa e collo. In particolare, l’utilizzo di aspirina è associato a una riduzione del rischio del 27% di tumore del colon-retto (45 studi), del 33% di tumore dell’esofago (13 studi), del 39% di tumore del cardias (10 studi), del 36% di tumore dello stomaco (14 studi), del 38% di tumori epatobiliari (5 studi) e del 22% di tumore”.

“Le nostre osservazioni – conclude Cristina Bosetti – suggeriscono che dosi più elevate di aspirina siano associate ad una maggiore riduzione del rischio di tumore del colon-retto. Tuttavia, la scelta della dose deve prendere in considerazione il potenziale rischio di sanguinamento gastrointestinale, così come di altre emorragie, che aumenta per dosaggi elevati. L’assunzione di aspirina per la prevenzione del carcinoma del colon-retto o di altri tumori gastrointestinali deve comunque essere effettuata dopo aver consultato un medico, che terrà conto del rischio individuale”.

Lo studio su Annals of Oncology