Cronaca

Coronavirus, rottura tra sindaci e governo: “5 miliardi o stop a servizi”. E al Nord la Confindustria insiste: “Necessario ripartire molto presto”. Il ministro Boccia: “Non realistico dare oggi una data per la riapertura”

Le associazioni industriali di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto chiedono di "concretizzare la Fase 2" o "si spegne il Paese". L’Anci abbandona il tavolo con il ministero dell’Economia: "Senza soldi a rischio il trasporto pubblico e rifiuti". Cgil, Cisl e Uil chiedono un incontro urgente a Conte, che in giornata ha visto una delegazione dei partiti di maggioranza. Ma sulla ripartenza l’infettivologo Galli avvisa: "Solo con test diagnostici o si rischia di sbagliare i tempi"

Gli scienziati chiedono massima cautela, parlano di una fase di transizione che durerà mesi e invitano il governo a non compiere quello che considerano un salto nel buio. Le Confindustrie di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto chiedono di “concretizzare la Fase 2” attraverso una ‘roadmap’ condivisa, perché se le quattro principali regioni del Nord – che rappresentano il 45% del Pil italiano – non riusciranno a ripartire nel “breve periodo” l’Italia rischia di “spegnere definitivamente il proprio motore” e “ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia”. Con un effetto negativo riflesso: “La fiscalità dei Comuni si è drasticamente ridotta con la chiusura delle attività. Servono 5 miliardi di euro, altrimenti saremo costretti a interrompere i servizi”, è l’allarme del numero uno dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro che chiede liquidità immediata nel decreto Cura Italia di aprile. Stessa lunghezza d’onda del numero uno dell’Unione delle Province, Michele de Pascale, che lamenta “scarsa considerazione” e “bilanci che rischiano di saltare”. Entrambi hanno abbandonato la conferenza unificata in segno di protesta.

Il decreto in scadenza e la Fase 2. Boccia: “Date? Non ci sono ancora”
A 5 giorni dalla scadenza del decreto che hanno imposto le misure di contenimento finalizzate a rallentare il virus, di fronte a dati finalmente confortanti sulla capacità delle stesse di rallentare il contagio del Covid-19, il dibattito su cosa, quando e come riaprire si fa serrato. Da un lato la comunità scientifica, dall’altro gli industriali. Nel mezzo il governo – sul quale premono gli enti locali, a corto di risorse – che dovrà fare sintesi e trovare un bilanciamento tra i due interessi in gioco a un mese dal lockdown della Lombardia e a 27 giorni dalla decisione di trasformare tutto il Paese in una ‘zona rossa’. Mentre anche i segretari di Cgil, Cisl e Uil chiedono un tavolo urgente al premier Giuseppe Conte. Un incontro – scrivono – per confrontarsi sull’applicazione del protocollo della sicurezza nei luoghi di lavoro e riguardo “alle decisioni che il governo intende assumere in relazione alle attività sospese” per ora fino al 13 aprile. Per la riapertura “ci vorrà tempo e tantissima gradualità”, aveva sottolineato Roberto Speranza martedì sera dopo il vertice con il Comitato tecnico-scientifico. Sui tempi, l’esecutivo nicchia. “Non è realistico oggi dare date – ha detto il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia – Non ha senso impiccarsi a date”. Ma, ha aggiunto, “bisogna condividere le modalità di ripartenza, parlarne insieme, maggioranza e opposizione, scienziati e politici”. La Fase 2, questo è ormai chiaro, sarà in due step: prima le fabbriche, poi le uscite e gli spostamenti. I dettagli del piano sono stati al centro di un incontro tra Conte, il ministro Riccardo Fraccaro e le delegazioni di Pd, M5s e Leu che si è tenuto in giornata.

Allarme Anci: “Servono 5 miliardi o chiudiamo i servizi”
Sull’esecutivo premono anche i sindaci. La fiscalità dei Comuni, denuncia l’Anci, si è drasticamente ridotta e per questo o arrivano “cinque miliardi subito o siamo costretti ad interrompere i servizi”, ha dichiarato il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, che ha abbandonato insieme all’Unione delle Province i lavori della conferenza unificata, convocata oggi in videoconferenza, in attesa degli sviluppi del tavolo tecnico-politico. “La capacità fiscale dei Comuni è drasticamente ridotta. Non per volontà di noi amministratori, né per volontà di cittadini e imprese che versano i tributi – spiega Decaro – È ridotta, se non in alcuni casi azzerata, per la situazione che si è creata con il blocco delle attività economiche a seguito dell’emergenza sanitaria”. L’effetto è che “non abbiamo entrate ora” e “non ne vediamo il recupero neppure in prospettiva”. Quindi chiede al governo di far fronte alla necessità e di stanziare nel prossimo decreto i 5 miliardi che gli enti locali hanno avanzato da tempo. “Non possiamo aspettare oltre: si tratta di garantire ai cittadini italiani i servizi che i Comuni erogano, a cominciare dal trasporto pubblico e dalla raccolta dei rifiuti”, ha spiegato Decaro ricordato il “senso di responsabilità e senso delle istituzioni” dimostrato finora. “Tuttavia anche la nostra buona volontà si ferma davanti all’inagibilità finanziaria dei Comuni che ci impedisce di approvare i bilanci e di continuare a lavorare per le nostre comunità”, ha concluso. “Non possiamo che rilevare la scarsa considerazione che il Governo sta riservando alle criticità che le Province, insieme ai Comuni, stanno affrontando”, lamentano il presidente dellUpi, Michele de Pascale. “Con le entrate in picchiata e le spese straordinarie che stiamo sostenendo, i bilanci rischiano di saltare. Se saltano i bilanci, si interrompono i servizi, e non possiamo permettercelo”.

Le Confindustrie del Nord: “O si riparte o si spegne il motore”
Di fronte allo spettro di una Fase 2 a rilento, si agitano la Confindustria di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. Gli industriali delle quattro regioni più produttive del Paese hanno sottoscritto un agenda per la riapertura delle imprese: se i territori che rappresentano il 45% del Pil italiano non riusciranno a ripartire nel “breve periodo”, scrivono, il Paese “rischia di spegnere definitivamente il proprio motore” e “ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia”. Per Confindustria, “prolungare il lockdown significa continuare a non produrre, perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare con l’effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese”. Quindi l’invito al governo: “Chiediamo quindi di definire una roadmap per una riapertura ordinata e in piena sicurezza del cuore del sistema economico del Paese. È ora necessario concretizzare la Fase 2″. È necessario “realizzare un percorso chiaro” e giungere a “decisioni condivise con una interlocuzione costante tra Pubblica Amministrazione, associazioni delle imprese e sindacati che indichi le tappe per arrivare alla piena operatività”.

Galli: “Carenza di diagnosi, senza la Fase 2 rischia sbagliata nei tempi”
Uno dei punti più discussi riguarda gli aspetti sanitari quando ci sarà la ripartenza. Per l’infettivologo Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, non si può programmare la Fase 2 senza colmare l’attuale “carenza dispositivi diagnostici”. “Dobbiamo interrogarci sul perché l’Italia non abbia messo in piedi linee di diagnostica per passare alla fase 2, oggi prematura, ma da programmare altrimenti si rischia di spalmare la ripresa in un tempo infinito o anticipata, con il rischio di nuovi focolai”, ha spiegato ipotizzando che sarebbero circa un milione i casi di infezione da SarsCoV2 in Italia. “È inutile dire che l’Italia ha il tasso di letalità più alto del mondo, in realtà – ha detto Galli – ha il denominatore più sballato del mondo: manca il 90% di chi ha l’infezione. Circa un milione l’ha incontrata”. Tra loro decine di migliaia di medici, 96 dei quali sono deceduti. Le ultime due vittime sono due medici di medicina generale, Giuseppe Vasta e Nabeel Kahir, quest’ultimo in servizio a Tonara, nel nuorese.