Diritti

Coronavirus, gli assistenti sociali aspettano regole nazionali. I più deboli ora sono anche più soli

di Agnese Ambrosi

Sono un’assistente sociale e attualmente lavoro in Toscana. Raccolgo da più fonti la preoccupazione per la mancanza di un piano strategico nazionale di fronteggiamento dell’emergenza sociale che si è già generata in relazione all’emergenza sanitaria, e che – contrariamente a quest’ultima – è largamente ignorata e sottovalutata.

L’assistenza sociale, a parte la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, è competenza legislativa esclusiva delle Regioni e competenza amministrativa dei Comuni, ma – come avvenuto per la tutela della salute, materia invece di legislazione concorrente, in cui il governo si è arrogato le prerogative regionali – è necessario definire linee guida immediate e nazionali di gestione dell’emergenza sociale, finanziate con fondi straordinari, in modo da stabilire durante questo periodo extra-ordinario quali prestazioni e servizi debbano comunque essere garantiti – e con quali modalità – su tutto il territorio nazionale, in modo omogeneo e coerente con i bisogni, ed anche quali nuovi eventuali servizi vadano creati ad hoc per le specificità dell’emergenza.

C’è invece grandissima confusione e disomogeneità, e la conseguenza di tutto questo è che le famiglie e gli individui più vulnerabili sono oggi ancora più soli, ancora più fragili e abbandonati a se stessi.

Già prima di questa crisi l’offerta dei servizi risultava assolutamente residuale rispetto al bisogno; adesso – con l’emergenza, l’acuirsi delle tensioni, la restrizione degli interventi sociali e anche il restringersi del presidio costituito dalle reti sociali extra-istituzionali – si rischia un’esplosione di disagio e di traumi, di cui porteremo le conseguenze ben oltre la fine – speriamo il più presto possibile – dell’epidemia. Si moltiplicano gli appelli delle associazioni, ma non sembra arrivare una risposta strutturata. Ci si concentra unicamente sul problema sanitario (essenziale certo) e economico (anch’esso essenziale), ma si dimenticano i servizi sociali.

Non si può – per quanto nell’ordinario sia competenza esclusiva – lasciare alla singola valutazione degli enti locali quali direttive impartire, e quali servizi chiudere o lasciare aperti nell’emergenza (e le modalità con cui farlo), perché il rischio che si agisca soppesando maggiormente alcuni interessi rispetto ad altri è molto alto. Ed infatti – ad esempio – sono arrivate segnalazioni da più parti che stanno chiudendo i servizi di igiene per le persone senza dimora, proprio in un momento in cui sarebbe oltremodo essenziale garantirli.

Pensiamo ai maltrattamenti sui minori, che in questo periodo potrebbero crescere esponenzialmente: già, infatti, le famiglie più solide stanno sperimentando forti preoccupazioni e tensioni interne dovute a questo quadro di incertezza sanitaria ed economica, immaginiamo le famiglie che erano abituate da prima a scaricare le proprie tensioni sui bambini: cosa si può fare – dentro la gestione dell’emergenza – per prevenire tutto questo?

E le famiglie che assistono persone disabili a cui in alcuni casi hanno chiuso i centri e si sono ritrovate da un momento all’altro a gestire l’emergenza da sole; le persone anziane sole che hanno visto chiudersi quei minimi presidi di socialità, e stanno vivendo un momento di angoscia e solitudine indescrivibile; le persone straniere vulnerabili che vivono in un continuo rischio di esclusione sociale e che forse stanno perdendo quelle minime forme di sostentamento come i piccoli lavori saltuari, nello stesso momento in cui viene molto rallentata – o fermata – in alcuni Comuni l’erogazione dei contributi economici; le donne vittime di violenza, che in questo momento di tensione sono ancora più esposte e ancora più sole, mentre molti assistenti sociali hanno dovuto limitare fortemente i colloqui di persona (e potrei continuare…).

La crisi dentro la crisi. Per non parlare dei lavoratori del sociale, che sono stati lasciati quasi completamente privi di dispositivi di protezione, esponendoli, insieme alle persone di cui hanno cura, al contagio, senza direttive nazionali univoche su come e secondo quali procedure proteggersi nella specificità dei vari lavori di cura.

Qual è la risposta e la regolazione nazionale di tutto questo, dal momento che si è stabilito che l’emergenza sia e vada gestita da un punto di vista centrale? Bisogna lavorare contemporaneamente su più piani, e il campo dell’assistenza sociale in tutte le sue forme deve essere un asse prioritario di regolazione e azione strategica nazionale in questo momento di emergenza, al fianco – ma non meno importante dopo quello sanitario – degli altri assi di azione per cui si è ritenuto di superare le competenze degli enti locali e dare una risposta forte e unificata sovra-regionale data la straordinarietà del momento, con tutti i suoi rischi